mercoledì 25 ottobre 2017

ANCHE I CATTOLICI NEL LORO PICCOLO DOVREBBERO IMPARARE A MODERARSI

Ormai è come dire buongiorno e buonasera l'invito a moderarsi. Cocente delusione in arrivo per i moderati di centrodestra e di centrosinistra (dovunque trovi brava gente), se per caso leggono i discorsi pronunciati dal Cardinale Martini a Sant'Ambrogio tra il 1991 e il 2002. Chi vuole annacquare, rinviare, rimuovere, mercanteggiare, può andare a farsi benedire. Ma non dal Cardinal Carlo Maria Martini. Il quale non solleva le consuete lamentazioni contro le “interferenze clericali” nella vita politica italiana.
Per il più ascoltato tra i pastori milanesi, c'è una moderazione buona che coincide con il rispetto dell'avversario. Ma c'è un diffuso pregiudizio da sradicare: quello che assegna ai cattolici il dovere di distinguersi “sempre e quasi unicamente” per la loro “moderazione”. Invece no. I cattolici non sono chiamati ad affidare al criterio della maggioranza e “al consenso democratico la legittimazione etica dei propri valori (p.165 e 152). Ma non devono temere l'audacia delle “iniziative coraggiose e d'avanguardia” sui principali temi della polis moderna. Devono essere una minoranza autorevole e laboriosa che sa conquistare “una visuale positiva”, sa parlare con i fatti e “non è troppo preoccupata di sbagliare” quando si lancia nell'impegno creativo per promuovere i più deboli. Questi non sono tempi per darla vinta alla “accidia politica” (p. 159)  e alle “tentazioni di chiudersi nel presente” (p.75) perchè “chi si isola è destinato a fuggire all'infinito” (p.223). E' ora invece di “pensare politicamente in grande” (p.149).
Uno dei terreni su cui i cattolici sono chiamati ad un esercizio combinato di radicalità e di pazienza è quello franoso e roccioso della legislazione familiare.
Il presule ambrosiano è molto radicale nel ricordare che la dottrina evangelica valorizza i legami famigliari e “l'unità indissolubile tra uomo e donna”, ma mette in questione “una rigida cultura dei legami familiari e di clan”. E' il Vangelo di Matteo a dire che “chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me” (p. 169.170).
Martini è molto radicale nel ricordare che per la Costituzione, “la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio”. Pertanto, i cattolici in politica devono principalmente “promuovere le famiglie in senso proprio, non penalizzare le unioni di fatto” che non sono fondate sul matrimonio (p.180).
Martini è molto radicale nel dire che non basta denunciare i danni sociali derivanti dalla dissoluzione della famiglia se non si affronta “la ricerca paziente di soluzioni pratiche che tengano conto anche di chi ha concezioni diverse e fa parte della stessa società civile” (p.98).
Martini è molto radicale nel consigliare moderazione ai cattolici in Parlamento e nelle forze politiche perchè “riforme imposte dall'alto” o “solo per bruta forza contrattuale” (p.118) sono destinate all'insuccesso. Qualcosa di simile aveva detto Gaetano Salvemini nel 1928 quando considerava doveroso rifiutare persino ricchezza, saggezza e felicità se promessse e imposte da riforme sprovviste del libero consenso della maggioranza dei cittadini”. E non è mai abbastanza sottolineata la riflessione di Vittorio Foa, per il quale “la gradualità è un’attenta considerazione degli altri, della necessità del loro concorso nell’azione, e l’apporto degli altri, della gente, richiede tempo.” Chi non sopporta la gradualità tradisce “la presunzione della propria centralità nei rapporti col mondo”. Martini evita l'espressione “valori non negoziabili” tipica di ambienti che nutrono nostalgia per un regime di cristianità. E' un caso?
Martini è molto radicale nel ricordare che il secolare contrasto tra illuminismo e cristianesimo col tempo ha prodotto una sintesi “preziosa”. Dialogo e convivenza sono possibili se non si sminuiscono “il principio dell'uguaglianza,  della pari dignità sociale e della libertà religiosa” e se “tutti si conviene che l'altro da me, sebbene diversissimo, è come me persona, soggetto libero e titolare, in radice, di eguale dignità e dei medesimi diritti” (p.188 e 147).
Martini è molto radicale nel condannare la logica amico-nemico “dove con l'amico si ha tutto in comune, col nemico nulla” ed è favorevole “al conflitto politico in un quadro democratico e rispettoso dei diritti di tutti” (p.93).
Martini è molto radicale nel rifiuto di uniformarsi al “pessimismo sociale sistematico” quasi non ci fossero più verità, virtù e onestà, ma tutto fosse diventato “un immondezzaio di ipocrisie da scoprire” (p.70). Un diffuso clima di “sospetto di tutti su tutti” (p.62) lascia campo libero al totalitarismo di chi ha in mano gli affari.
Certo, “non sta a noi salvare il mondo e non dobbiamo caricarci tutto il peso del mondo sulle nostre spalle” perchè siamo deboli e fragili (p. 128). Bisogna saper scegliere quando indurire il nostro volto (Cristo “firmavit faciem suam”) e quando essere miti nel fare la parte che sappiamo competerci.

CARLO MARIA MARTINI, Lasciateci sognare, Edizioni Corriere della sera”, pag. 230.

Mario Dellacqua

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