lunedì 16 maggio 2016

“Io sono Alessandro”

OMOSESSUALE SULLE RIVE DEL CHISOLA
Una tragedia doveva capitare perché anche dalle nostre parti si squarciasse il velo che copre l'esistenza degli omosessuali. E che cosa puoi pretendere?
Sulle rive del Chisola si coltiva come una virtù il nascondimento o il camuffamento delle proprie idee politiche. Vero è che bisogna possederle anche solo per nasconderle, ma figuriamoci quanto coraggio devi avere per affacciare in pubblico la richiesta di accettare la particolarità del tuo orientamento sessuale: la morale dominante lo considera un atto blasfemo, una devianza, una malattia, una tendenza contro natura. Il più audace tra i liberali al massimo ti può paternamente tollerare, una volta stabilito che il normale è lui e che tu ti prendi in via del tutto eccezionale la libertà di trasgredire e di calpestare la disciplina concordata.
Hitler internava gli omosessuali nei lager insieme con gli zingari, gli ebrei e i comunisti. Un po' di nazismo è sopravvissuto e tutto sommato ai giorni nostri prolifica ancora. Quanto a discriminazioni, anche i sovietici non scherzavano e, tra i comunisti italiani, Togliatti metteva in giro la voce che Pietro Secchia fosse una “secchia rotta” per squalificare il prestigio delle sue posizioni non ortodosse. La sessuofobia cattolica completava l'assedio e mieteva vittime.
Sulle rive del Chisola l'omosessualità ha sollevato sussurri e grida. Sussurri tra famigliari e parenti. Grida, persecuzioni sghignazzanti e battute da caserma nella cerchia dei compagni di scuola, in fabbrica e anche all'Oratorio. Il risultato era l'abbandono traumatico della famiglia, dei pochi amici e del paese come sola alternativa praticabile ad un'esistenza condannata all'emarginazione.
Nell'incontro del 12 maggio all'angolo di via Roma, il caso di Alessandro è stato rivissuto dagli amici di allora e ha indotto a parlare di “sconfitta” e di “fallimento della comunità”. “Nessuno dovrebbe sentirsi escluso”. Se ciò avviene, “si perde una montagna di risorse affettive e relazionali”. Grazie a Giuseppe, autore del libro di testimonianze sulla vita del figlio scomparso tragicamente tre anni fa, la serata si è sviluppata in un clima amichevole – persino fraterno – e ha dato voce alla ricerca comune di giuste domande e prime risposte. Mi prendo la libertà di elencarle senza ordine e senza gerarchie.
“Noi apprezziamo il valore della conoscenza che è l'unica forza in grado di combattere la paura”.
“Uscire dalla paura è capacità di ascoltare, non pensare sempre di poter dare consigli”.
“La cosa peggiore è sentirsi dire in famiglia: non ti riconosco più”.
“La differenza è un valore per chi non ne sperimenta la fatica sulla sua pelle”.
“A volte l'altro ti dilania invece di accoglierti e integrarti”.
“Ho sperato per tanto tempo di incontrare un alieno come me”.
“La crisi economica e la competizione spietata per sopravvivere nella precarietà ha peggiorato le relazioni fra le persone negli ultimi trent'anni”.
“Tutti abbiamo conosciuto la solitudine e l'infelicità nell'esperienza adolescenziale propria o altrui”.
“Non si tratta di stabilire che era meglio quando eravamo più giovani. Si tratta di cambiare ora, di costituire oltre i confini della famiglia una rete di relazioni emotive e affettive includenti e non competitive”.
“Dobbiamo diventare tutti genitori adottivi”.
“Alessandro ha sempre cercato una battaglia da combattere con tutte le minoranze possibili”.
“Manovale, responsabile di cantiere e disoccupato il giorno dopo, non si è mai rassegnato alla passività”.
“Non basta che ognuno sia migliore. Anche il Papa dice che ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie”.
Giuseppe Ozimo ha messo in rete e offerto alla ricerca comune il suo tormento. Lo ha trasformato in una serata di rara serenità nella circolazione del pensiero e nella libertà di parola. “Ci sono tanti modi di reagire alla sofferenza e il tuo, Giuseppe, è proprio un bel modo”.


Dall'angolo di via Roma 11, Mario Dellacqua
COMUNICATO N. 80, 14 maggio 2016

GIUSEPPE OZIMO, Io sono Alessandro, LAR Editore, 2016, euro 13.



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