martedì 3 febbraio 2015

LE DISUGUAGLIANZE SONO NORMALI, MA SONO ANCHE UNA MINACCIA

La letteratura sulle disuguaglianze è ormai ampia. Tuttavia, i Premi Nobel per l'economia e il successo del “Capitale nel XXI secolo” di Thomas Piketty non hanno ancora fatto breccia a Bruxelles. Da quelle parti, la scuola del pensiero liberista detiene saldamente l'amministrazione di tutte le cattedre. Le autorità di Bruxelles sono riverite dagli editorialisti che insegnano ai governi ad essere meno timidi nell'aggredire la spesa pubblica e nell'alleggerire i costi del lavoro conquistando maggiore flessibilità in entrata e in uscita (fa disordinato – chissà perchè - dire libertà di licenziamento come condizione per assumere di più).
Su “La Stampa” del 22 dicembre, ad esempio, Francesco Manacorda si augurava la vittoria della “flessibilità contro la precarietà”, chiedendo se oggi per un venticinquenne “è più importante venire inserito in un percorso che mano a mano aumenti le sue tutele o venire garantito contro i rischi di perdere un lavoro – che per altro oggi non ha – dall'art. 18”. Risposta ovvia. Ai suoi tempi, Giulio Tremonti era più crudo e più comunicativo: meglio un lavoro precario che la disoccupazione. Geniale.
Indiscussa autorità del pensiero e della sociologia, Zygmumt Bauman nel 2013 ha distillato per Laterza un pamphlet dedicato, sul fronte opposto, alla contestazione delle disuguaglianze. Non manca nell'opera una robusta indignazione morale, ma l'autore è impegnato a dimostrare che i crescenti squilibri nella distribuzione del reddito sono inefficaci ai fini della lotta contro la crisi, quando non ne sono la causa principale.
Secondo John Galbraith, nel 2013 il 20 % più ricco della popolazione mondiale consuma il 90 % dei beni prodotti (nel 1998 l'86%), mentre il 20 % più povero consuma l'1%: quindici anni fa l'1,3% (p.11). La Tanzania ha “un prodotto interno lordo di 13-14 miliardi di dollari l'anno per quasi 40 milioni di abitanti, mentre la società finanziaria Goldmans Sachs da sola guadagna oltre 9 miliardi di dollari che vengono divisi tra qualche centinaio di azionisti”. (Bauman, La paura liquida, 2006, p.93). In Calabria, una delle regioni più povere d'Europa, un terzo della ricchezza (8,2 miliardi di euro su 26) giace nelle tasche del 3% delle famiglie, dice una ricerca di Prometeia. Ecco a che cosa è servita la brillante e spregiudicata decontestualizzazione del Vangelo di Matteo: a chi ha è stato dato in abbondanza e a chi non ha è stato tolto anche quello che aveva.
Nell'ultimo trentennio inglorioso, lasciata libera di andare dove voleva, la mano invisibile del mercato ha moltiplicato in alto – al vertice della piramide - i privilegiati ultraricchi. In basso – alla base sempre più ampia della piramide – la spogliazione del ceto medio ha moltiplicato la platea degli emarginati e dei poveri. Con Stiglitz, Dorling e Lansley, Bauman è convinto che una mancata inversione di rotta avrà come esito finale l'autodistruzione dell'ordine democratico. Perciò, i dati più allarmanti e scandalosi vengono nascosti: incrinerebbero la diffusa convinzione in base alla quale le differenze sociali sono il prodotto naturale di una civiltà che ha bisogno di rivalità per raggiungere la prosperità dello sviluppo.
Le vittime della competizione vengono colpevolizzate, “biasimano se stesse” e addirittura concordano con il verdetto di condanna emesso dai loro carnefici: esattamente come Gregorio Samsa considerò ordinaria e normale la sua eccezionale e sorprendente trasformazione in scarafaggio. Di fronte all'ostentazione disgustosa di tanti privilegi, il mio amico Orso diceva di stupirsi nel vedere che la gente non usciva mai di casa la mattina con il bazooka. Orso esagerava e, infatti, la mattina lui usciva di casa con la bicicletta: ma la sua iperbole era del tutto ingiustificata?
Esplosioni di rabbia e cicliche ribellioni esprimono il “disperato desiderio degli esclusi di entrare nel paradiso dei consumatori”. Per molti di loro la felicità si trova sugli scaffali dei negozi che sono “farmacie per tutte le inquietudini della vita, qualunque cosa propongano, pubblicizzino o vendano”. Poichè le vittime non intendono “sfidare il dogma fondamentale della società consumistica”, queste ribellioni sono agevolmente riassorbibili dalla sapiente amministrazione delle grandi paure e di superiori domande di ordine sempre pronte a imporsi sotto forma di emergenza.
C'è un passaggio a nord ovest? Possiamo ancora evitare “lo schianto”? Secondo Bauman, si può cercare la via d'uscita nella convivialità e nell'associazionismo lanciato ormai in tutta Europa alla riscoperta del “bene comune”: la garanzia fornita a tutti di accedere ad alcuni diritti fondamentali (tra essi la dignità del lavoro e del reddito, la salute e l'istruzione) prepara un vantaggio collettivo, mentre la felicità che deriva dal godibile spettacolo del fallimento altrui porta alla catastrofe, non all'armonia prestabilita.
L'arricchimento di pochi “è la via maestra per il benessere di tutti” o l'anticamera dell'hobbesiano “stato di natura” in cui domina la lotta “omnium contra omnes” e “homo homini lupus”? Si ripropone l'eterno duello fra chi, come gli epigoni di Margaret Thatcher, pensa che la società non esiste, esistono solo gli individui e chi pensa alla modernità come conquista della scelta di cooperare amichevolmente al perseguimento di scopi condivisi. L'alternativa è secca e sempre più stringente.

Mario Dellacqua

ZYGMUNT BAUMAN, La ricchezza di pochi avvantaggia tutti. Falso!
Idola-Laterza 2013, p. 100, Euro 9

Vedi anche ZYGMUNT BAUMAN, La paura liquida
Laterza 2006, p. 233, Euro 10

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