martedì 27 gennaio 2015

27 gennaio 1945-2015: non è mai finita?

 
 
"(Come ci ricorda in un suo prezioso volumetto Paolo De Benedetti) a Gerusalemme, nel memoriale della Shoah, c’è una galleria scavata nella roccia, assolutamente buia, nella quale sono ricordati i bambini uccisi nei campi di sterminio. Una voce, durante le ore di apertura al pubblico della galleria, pronuncia il nome, l’età, la provenienza e, quando si conoscono, il luogo e la data di morte di un milione e mezzo di bambini ebrei uccisi dai nazisti, impiegando circa due anni per completare l’elenco. Molto più tempo di quello che i nazisti hanno impiegato per ucciderli. Di questi bambini non ci è rimasta neppure la tomba. Il nome è tutto quello che resta di loro. La vita, che avevano diritto a vivere, non l’hanno vissuta. I loro nomi, che dobbiamo sentire come una cosa preziosa da custodire, sono la tomba, la sopravvivenza di chi è stato ucciso. Al loro ricordo è legata la nostra stessa identità che sarebbe mutilata, incompleta, se non comprendesse anche la memoria di chi non c’è più."
In queste parole di Vittorio Rapetti (Cfr. "Ricordare ancora la Shoah?" ) e nell'insegnamento di Paolo De Benedetti che esse racchiudono, si trova probabilmente il senso più profondo del Giorno della Memoria ma purtroppo c'è un di più che dobbiamo affrontare per non fare gli ipocriti. Un solo esempio: migliaia di cittadini francesi di famiglia ebraica negli ultimissimi anni hanno deciso di fuggire dall'Europa e di "fare alijah" cioè di trasferirsi in Israele. Numeri più piccoli ma comunque in continuo aumento, caratterizzano il medesimo fenomeno in vari altri Paesi europei inclusa l'Italia. Del resto anche recentemente non si contano i gesti antisemiti che in qualche caso, vedi la brutta storia di Charlie Hebdo, arrivano anche all'assassinio. E' normale che anche in Italia, in Piemonte, a Torino le sinagoghe debbano essere sorvegliate da mezzi delle forze dell'ordine ventiquattro ore su ventiquattro? Certo quasi nulla in confronto agli anni quaranta del novecento ma possiamo tollerare quel "quasi"?
 
Roberto Cerchio

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