domenica 10 agosto 2014

INDESIT: LAVORATORI ABBANDONATI?

Circa 125 lavoratori Indesit di None non ancora ricollocati dovranno scegliere. Trentamila euro: pochi, maledetti e subito o trasferimento negli stabilimenti Indesit delle Marche, a Comunanza. E' chiaro che l'alternativa secca prepara l'esito certo della mobilità e del licenziamento. I lavoratori che non hanno preso una decisione entro il 31 luglio, vedranno ridursi l'indennità a 20mila euro alla scadenza di ottobre. Questo l'incentivo escogitato per accelerare lo smaltimento delle eccedenze (un linguaggio fintamente neutro per nascondere la cancellazione dei diritti delle persone in carne e ossa).
L'Eco del Chisone ci informa che “una delegazione di dipendenti Indesit è stata ricevuta in Comune dal sindaco Enzo Garrone, dal vice-sindaco Roberto Bori Marrucchi e dall'ex-primo cittadino Maria Luisa Simeone”. Immagino le dichiarazioni di rammarico e di solidarietà delle istituzioni. Se c'erano lavoratori non residenti, mi auguro che Sindaco, ViceSindaco ed ex Sindaco di None abbiano chiarito che alla prima occasione, cioè al primo posto da dare o da salvare, essi verranno scaricati per far posto ai lavoratori nonesi. Motivazione: così fanno anche altri Comuni. Così ciascuno si tiene i suoi posti di lavoro e i suoi disoccupati, con tanti saluti e tanti comunicati di dolente solidarietà.
Il cronista dell'Eco registra le voci rabbiose dei lavoratori per i quali la destinazione di Comunanza è un sacrificio insostenibile a causa dei costi di trasferimento (umani e economici) che imporrebbe. Inoltre anche la località marchigiana potrebbe essere interessata da ridimensionamenti occupazionali  e da cassa integrazione: dopo il danno arriverebbe la beffa. Le maestranze si sentono abbandonate “in primis dai sindacati che hanno firmato un patto favorevole solo alla multinazionale». 

Ora, non scopriamo l'acqua calda e parliamoci chiaro. E' dal 1980 come minimo che gli accordi sindacali favoriscono la ristrutturazione delle grandi industrie e i loro progetti di riduzione dei costi attraverso delocalizzazioni e licenziamenti.  Tuttavia, questo sindacato che non ha saputo e potuto arginare la perdita di milioni di posti di lavoro, ha firmato centinaia di accordi, come questo dell'Indesit, che “è la conclusione di sei anni di cassa integrazione” . I lavoratori non avrebbero beneficiato di questo trattamento senza l'intervento sindacale. Fa bene a sottolinearlo Claudio Chiarle, il segretario torinese della Fim-Cisl.
Altri sono i crucci che dovrebbero tormentare il movimento sindacale. Infatti milioni di lavoratori di piccole, piccolissime e medie industrie hanno perduto il posto di lavoro e nessuno se ne è accorto. Non hanno avuto la cassa integrazione, la mobilità, i prepensionamenti che invece hanno protetto i lavoratori delle grandi industrie. Semplicemente sono spariti senza lasciare traccia sui giornali e sui telegiornali nazionali o regionali. Senza contare l'universo dei lavoratori precari e dei giovani sprovvisti di ogni diritto, di ogni tutela, di ogni rappresentanza e dominati da un regime quotidiano di ricatti silenziosi e potenti, di minestre da mangiare o di finestre da cui saltare.
C'è da chiedersi che cosa sarebbe potuto succedere ai lavoratori Indesit se nel 2009 o anche nel 1980 i sindacati non avessero firmato accordi che tutelavano i lavoratori dal salto brusco nella disoccupazione senza ammortizzatori sociali, pur sapendo che le imprese con quegli stessi accordi incassavano il via libera ai loro progetti di abbandono dell'industria.
Non si può chiedere al movimento sindacale il potere di condizionare e di vincolare le decisioni dei governi e delle multinazionali, specie se si guardano in faccia le sue debolezze: il basso tasso di iscrizione dei lavoratori, la debole partecipazione alla vita associativa, la mediocre competenza dei delegati, l'avaro rinnovamento delle sue rappresentanze di fabbrica, la scarsa abitudine alla solidarietà. Nonostante questi gravi limiti, all'Indesit dalla crisi del 1980 in poi nessuno è stato abbandonato. Gli ultimi lavoratori e lavoratrici sono stati accompagnati alla pensione dopo quasi due decenni tra cassa integrazione, prepensionamenti o lavori socialmente utili.
Quelli erano anni in cui i lavoratori abbandonavano i sindacati quando, per difendere il posto di lavoro di tutti, organizzavano manifestazioni a Torino. I lavoratori scioperavano e uscivano anticipatamente dagli stabilimenti ma, invece di salire sui pullman, andavano a casa. Alle manifestazioni prendeva parte meno della metà delle maestranze.
Dico una balla? Se i lavoratori di allora non vogliono interrogare la loro coscienza, possono interrogare la memoria di sindacalisti come Elvio Tron, Enrico Lanza, Augusto Canal.

4 agosto 2014 dall'angolo di via Roma 11, Mario Dellacqua 



Nessun commento:

Posta un commento