domenica 16 febbraio 2014

ANNI SPEZZATI E DISPREZZATI


Ho visto in TV il programma “Gli anni spezzati. L'ingegnere” su terrorismo, 61 licenziati e 35 giorni alla Fiat di Torino. Sono rimasto sorpreso, cosa che di solito non mi capita da anni. Il film è costruito in modo tale da contrapporre l'umanità dei quadri, degli operai e della città fedele agli Agnelli all'assedio congiunto ed eversivo del terrorismo e del movimento sindacale.
Il terrorismo non è rappresentato come una emanazione ultima e obbligatoria della conflittualità (secondo la nota tesi dei demolitori del sindacalismo consiliare), ma come il regista occulto del movimento sindacale. Il salto interpretativo offerto al telespettatore è notevole.
Mi sono sempre illuso che anche nel cinema potesse valere la regola che governa il romanzo storico, un misto di storia e di invenzione, laddove l'invenzione, cioè la fiction è un espediente utile a meglio comprendere lo spirito della realtà. Ma la finzione dovrebbe esplorare la realtà, non scavalcarla con tanta disinvoltura. Non c'è solo, come già segnalato da Piero Baral, l'anticipazione arbitraria dell'assalto alla scuola di amministrazione aziendale che seguì e non precedette il licenziamento dei 61. C'è anche la trasformazione della marcia dei cosiddetti quarantamila in manifestazione "trasversale" contro il terrorismo, quando invece fu un'azione di rottura consapevole del fronte sindacale in sciopero e di sostegno della posizione aziendale: pur di mescolare il terrorismo con i 35 giorni si posticipa l'esecuzione del sorvegliante della Framtek Ala risalente al gennaio 1980. Per tutto il mese dei presidi i gruppi della lotta armata non mossero un dito.
Aggiungo poi che la diffusione del questionario antiterrorismo e il dibattito che lo accompagnò risale alla primavera del 1979. Durante i presidi era un pallido ricordo e le preoccupazioni erano altre.
Del fascino della violenza non ci siamo ancora liberati. La lotta contro la violenza ci accompagnerà sempre, fin quando vorremo lottare. E' chi non vuole lottare a cercare nella violenza lo sbocco risolutivo delle ingiustizie sociali che subisce e delle infelicità private che lo tormentano. Negare la violenza che serpeggia tra le nostre debolezze è, a mio avviso, un puntuale regalo ai nostri avversari. Ciò non deve impedirci di combattere le manipolazioni che offendono le lotte sindacali, offuscano le buone ragioni degli sconfitti e riducono gli operai a fantasmi muti e terrificanti.
Mario Dellacqua

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