domenica 19 gennaio 2014

BENVENUTI TRA I BASTARDI


Santa Sofia d'Epiro. Calpesta senza fretta l'acciottolato nel dedalo sonnecchiante dei vicoli di questo villaggio arberesh (italoalbanese) in provincia di Cosenza. Poi prova a guardare da lontano la capricciosa geometria dei suoi tetti: un caleidoscopio a colori stinti e vivaci di triangoli ubriachi, trapezi spanciati, parallelepipedi arrotondati e cilindri appuntiti contende lo spazio di austeri portali a guardia di vicinati ora troppo silenti. Quando si stava meglio perchè si stava peggio, le antiche ghitonie pullulavano non solo di gatti. Nelle placide sere d'estate prosperava un affabile cicaleccio di cortile e le donne più umili vestivano costumi talvolta sgargianti, sempre ben curati da un desiderio interiore di nobiltà.

Non so afferrare quel tempo perduto con la nostalgia, ma solo con l'immaginazione. Ora il paesaggio urbano è dominato dall'incompiuto, dall'appena cominciato, dal partito, dal lasciato a metà, dal mai più visto. Strapiombi di olivi e palme negli orti di ville erette ad imitazione delle residenze marine (o californiane?) raccontano la tradizione abbandonata quasi con vergogna per approdare all'emancipazione. Rappresentano un traguardo di benessere inseguito e ostentato, pur tra le pieghe e le piaghe di uno sviluppo regolarmente rimandato.
Qualche segno lo so interpretare. Lungo la strada principale, l'insegna dell'Interclub esibisce con orgoglio la sua storica data di nascita: 2010. Più in là non manca, boriosa, la concorrenza juventina. Nessuno ha finora affrontato, invece, la dignitosa sofferenza di rimuovere (non dico sostituire) la targa all'ingresso della sezione “Aldo Moro” del fu Partito popolare. Prima delle chitarre, sono i muri a parlare. Un lancinante incrocio fra arcaismo e modernità sprigiona nell'aria una musica muta, ferita e desolante di vecchie sintonie spezzate nell'inedia o melanconicamente archiviate.
Resistere all'aggressione con la lingua, le fotografie, la gastronomia, la musica e la fedeltà alle liturgie è un consapevole segno di dignità. Proteggere i patrimoni della tradizione è una ribellione dell'identità minacciata. A Santa Sofia, Peppa Marriti Band ci prova con la musica e ora anche con un libro presentato il 2 gennaio. Con una peculiarità trascinante: in vent'anni di concerti, l'alto turn over nella band non ha lasciato il consueto strascico di rivalità e dissapori, perchè il suo retroterra è costituito da una singolare koinè di musicisti in continuo amichevole fermento. Mai troppo sguinzagliati alla ricerca di visibilità e anzi in pacifica coesistenza col reggae dei cugini Spasulati.
Ma la coltivazione anche devota della tradizione non può evitare l'appuntamento con il dovere della traduzione che - lo scopri ben presto - non si esaurisce nel trasferimento, da una generazione all'altra, di proprietà congelate e gelosamente custodite. Fatalmente si affaccia il pericolo del tradimento. Non ci sono grammatiche da rispettare, totem famigliari da venerare, barriere religiose che reggano, perchè come spiega benissimo Demetrio Corino, lingua e musica sono creature vive. Dunque sono soggetto e oggetto di quotidiane miscelazioni. Sono esposte al rischio del deterioramento che snatura, della deviazione che impoverisce o sfigura.
Ora, il bello della Peppa è la loro deliberata scelta di accettare la sfida, proprio mentre apertamente denunciano il pericolo che la loro lingua passi dalla sofferenza all'agonia. “Invece di spaventarsi, si appassionano ancora di più”. Demetrio Corino e i suoi amici non hanno “paura del cambiamento”, ma al tempo stesso, mostrano di “avere coscienza” e sono “rispettosi delle proprie tradizioni”. Più in concreto, si spingono ad affermare che “non esistono, in nessun luogo, culture minori, ma soltanto sapienze diverse che ci arricchiscono di nozioni e di dettagli importanti”. Ecco spiegata la magistrale scelta di mettere in copertina una chitarra tra le braccia di un musicista che indossa il chiodo rocchettaro su un tipico costume femminile albanese. Ecco spiegato, finanche nel nome, l'omaggio consapevole all'anglofilia imperante, prontamente bilanciata dal suo impasto con le sonorità della parlata locale, i suoi racconti, i suoi personaggi.
A potente soccorso della “Peppa” viene l'esperienza secolare dell'emigrazione che per questo popolo in periferia è l'alimento della dignità e della “voglia di riscatto” fusa con quel “moderno adeguamento di un principio antico” che è il lavoro, “principale fondamento di onorabilità e di rispetto verso se stessi e gli altri”. Consolatrice, educatrice, balsamica, romantica, ribelle, con le radici tra i reietti e non tra gli eletti, la musica eclettica della Peppa Marriti Band è anche una bussola. Può accompagnare la sgangherata carovana dell'umanità contemporanea nel deserto provinciale degli odi razziali a sfidare le ottusità acide e rinunciatarie in ascesa: l'altra faccia di planetarie ingiustizie sociali sostenute da quelli che Franco Arminio chiama i militanti dello scoraggiamento con il grembiule del rancore addosso.
L'armonia che vince di mille secoli il silenzio” non si trova aggrappandosi con ostinazione eroica a pezzi di modelli gloriosi in caduta libera, ma nel cimento del meticciato musicale, religioso e politico, nella fiducia per gli incroci, nell'apertura alla fecondità delle contaminazioni. E' chi le teme a tradire la fragilità delle sue radici e la timidezza della sua identità. E' chi si rinchiude nel suo fortilizio assediato a preparare la disfatta indecorosa. Il futuro è una continuità fatta di rotture. E' nelle mescolanze inesplorate, nei ponti e non nei muri e... nostra patria è il mondo intero. Sarebbe vile sottrarsi al tormento creativo che ci chiama.
In conclusione, se non sembra troppo blasfemo e provocatorio, ai musicisti della Peppa Marriti Band possiamo dare il benvenuto fra i bastardi. E auguri a tutti quelli che, come me, sono fieri di esserlo. Auguri per il nostro viaggio senza meta prestabilita. Per affrontarlo, dovremmo assomigliare a Genuzzu, il padre di Angelo Conte l'enigmatico, che partì un po' prima da Santa Sofia inforcando una bici con la zappa in spalla. Nessuno se lo aspettava, ma lui pedalò con volontà di ferro e seppe arrivare a Camigliatello prima della corriera che gli altri avevano preferito.
Mario Dellacqua


DEMETRIO CORINO, Rockarberesh. Peppa Marriti Band tra arcaismo e modernità, Pendragon, Bologna 2013, euro 12.


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