venerdì 6 dicembre 2013

COSTANZO PREVE E IL PANE DURO DELL'INTELLETTUALE

Ho conosciuto Costanzo Preve al Liceo di Pinerolo nel 1970 e mi ha aiutato molto. Avevo 17 anni. Veramente, la prima cosa che ricordo di lui negli anni pinerolesi è la sua felicità di padre. Tra i primi indelebili insegnamenti, quello di piantarla di coprire di disprezzo gli intellettuali quando non capivo qualcosa. Caso mai, studiare di più invece di fare il furbo. Non bastava essere operaio per avere ragione. Poi ci siamo persi di vista e ogni tanto ci ritrovavamo. La nostra frequentazione fu più intensa quando l'esperienza di Dp volgeva al termine dibattendosi fra scissioni, occasioni e rifondazioni.
Ricordo di aver recensito per “Primo piano” (il quindicinale piemontese fiancheggiatore di Dp) il primo libro suo che io abbia letto. La sua “Teoria in pezzi” (Dedalo 1984) sottoponeva a impietosa esplorazione le sotterranee ed operanti convergenze fra apparenti antagonisti. Da un lato, il sindacalismo consiliare torinese interpretava il comunismo come possibile risultante di una favorevole radicalizzazione ed estensione del conflitto industriale.
Sull'altro fronte, socialdemocrazia e stalinismo erano accomunati da una visione del comunismo inteso come conquista rivoluzionaria e/o parlamentare del potere. Lo sviluppo al capitale e il potere agli operai? Il comunismo è il capitalismo senza lavoro? Il comunismo è possibile e maturo grazie alla potenza delle tecnologie, tutt'al più riducibile ad una questione di rapporti di forza sindacali tra operai e imprese? E' frutto di un capitalismo democratizzato dall'egemonia operaia? Preve suggeriva di congedarsi da tutte queste visioni e cercava la risposta dalle parti di Lukacs e della sua democratizzazione della vita quotidiana...
Sarebbe villano e non solo ingiusto attribuire il suo isolamento al carattere scorbutico della sua personalità e di taluni suoi approcci. La koinè frantumata dei filosofi, degli storici e dei sociologi, è spesso tentata dagli imperativi dell'attualità e dalle contingenti contorsioni di un ceto politico in cerca di autorità disposte a patrocinare l'ultima svolta tattica. A queste condizioni arriva sulle pagine dei giornali e fa il suo garbato ingresso nei talk-show: un mondo estraneo all'opera di rifondazione teorica e al superamento di obsolete dicotomie cui Preve aveva legato i suoi studi con serena intransigenza. Serena non tanto. Talvolta l'isolamento gli pesava e sperava di non reagire ai pessimi trattamenti subiti facendosi venire “roca la voce”.
Io non riuscivo a stargli dietro, ma mi resta l'invito a masticare pane duro, che poi era il suo pane quotidiano.

Mario Dellacqua

27 novembre 2013

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