giovedì 6 giugno 2013

La ragazza in rosso

Ha ragione Michele Smargiassi, nel suo commento alle foto che arrivano dalle manifestazioni in Turchia contro l’abbattimento di un parco pubblico per fare spazio a un centro commerciale e ad una mega moschea, quando sostiene che le immagini non raccontano tutta la verità di un evento. Alcune icone che nel secolo breve hanno segnato la storia umana, tuttavia, sono definitive e fortissime fonti ispirative: creano memoria, nutrono l’azione perché indicano strade da seguire, individualmente e collettivamente, e dicono più di mille parole.
Così come il ragazzo di Tien An Men davanti al carro armato anche la giovane donna vestita di rosso con lo zaino sulle spalle che sta immobile a ricevere il potente getto dell’idrante della polizia è destinata a restare nella nostra memoria visiva come il segno della potenza della nonviolenza, specialmente perché è la singola, dignitosa forza individuale che si fa etica e politica contro l’ingiustizia.

Nel bel North country - storia di Josie, film nel quale l’attrice Charlize Theron interpreta la parte della prima donna che fece causa negli Stati Uniti per molestie sessuali alla miniera dove lavorava, creando così un precedente per l’introduzione nell’ordinamento nordamericano delle class action, (le azioni di categoria) incentrate sui diritti sessuati, il suo avvocato difensore pronuncia queste parole durante l’arringa: “Cosa si può fare quando chi ha potere abusa di chi non ne ha? Almeno farsi avanti, e gridare forte la verità. Farsi avanti per sè stessi, farsi avanti per gli amici, farsi avanti anche se si è da soli”.
Nel ‘900, pur se poco narrate e degne di memoria mediatica, molte azioni nonviolente hanno visto donne e giovani farsi protagoniste in situazioni nelle quali sembrava impossibile rispondere in modo nonviolento alla violenza del potere e del sistema: eppure le Madres de Plaza de Mayo sono diventate il simbolo della lotta senza violenza contro il sanguinario regime in Argentina, così come le Donne in nero, diffuse in tutto il mondo, con la pratica del silenzio e dell’immobilità, hanno dimostrato che si può trasformare la logica della vendetta del sangue in empatia del sangue, persino tra palestinesi e israeliani, così come le ecologiste del movimento femminista indiano Chipko, (più conosciute come le ‘abbracciatrici di alberi’) ispirarono il lavoro della premio Nobel Wangari Maathai, che con il Green Belt Movement contribuì a piantare milioni di alberi in Africa, opponendosi alle corrotte politiche governative del Kenia e dando lavoro, istruzione e libertà a centinaia di migliaia di donne.
“Non si può smantellare la casa del padrone con gli attrezzi del padrone” è una frase della femminista e poeta afroamericana Audre Lorde.
Questa affermazione, alla base del primo testo italiano che ha connesso la pratica nonviolenta con quella femminista, Donne disarmanti, nel quale si raccontano gli esempi recenti di singole e di gruppi di donne nonviolente che hanno contribuito a cambiare la storia, indica una strada, offre una suggestione per costruire una visione: non si dismette un sistema se lo si imita, adoperando i suoi strumenti, seppur sostenendo che è a fin di bene e che i nostri fini sono nobili e alternativi.
Nel suo Il demone amante, che nella prima traduzione italiana aveva per sottotitolo sessualità del terrorismo la studiosa Robin Morgan chiede alle donne di interrogarsi sul fascino che esercita sul genere femminile la violenza rivoluzionaria incarnata dal condottiero che parla del futuro regno di miele imbracciando un fucile dal quale non spuntano fiori, e per il quale la (sua) violenza è giusta perchè il sistema oppressivo è da abbattere. In questa logica il fine giustifica i mezzi, pur se identici a quelli del potere dominante. E’ estremamente interessante che nella vicina Turchia, in bilico tra oscurantismo fondamentalista di matrice islamica e laica aspirazione europea, l’opposizione giovanile al governo sia partita dalla difesa ambientalista di un parco, contro la cementificazione a fini commerciali e religiosi. Il pane e le rose, quindi, non l’uno in opposizione alle altre.
Purtroppo la violenza del regime sta già facendo vittime e migliaia di feriti, ma la forza di quella quieta e dignitosa esposizione del corpo della giovane in rosso ha già vinto contro il dominio, perché il mondo l’ha vista. La paziente, (di certo faticosa), ma anche divertente e creativa pratica nonviolenta costruisce sguardi, visioni, realtà, politiche divergenti, inclusive.
Scrive Vandana Shiva, che di certo non accademicamente lotta contro le violenze del mondo: “La pace non si creerà dalla armi e dalla guerra, dalle bombe e dalla barbarie. La violenza è diventata un lusso che la specie umana non può più permettersi, se vuole sopravvivere. La nonviolenza è diventata un imperativo per la sopravvivenza”.


da http://www.noidonne.org/blog.php?ID=04415
Monica Lanfranco

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