mercoledì 1 maggio 2013

VINTESINC D’AVRIL



Quest’anno il 25 aprile ho pensato a un sacco di cose, mi ha fatto proprio bene, per svariati motivi – il mio ‘deficit di vita associativa’ ce l’avevo eccome, e vedere altra gente, tanta, sia al mattino che al pomeriggio, mi ha messo allegria, ma soprattutto, appunto, sono riuscito a pensare, che non è una cosa scontata, ma me ne rendo conto solo quando riprendo a farlo, dopo periodi di vuoto e di buio.
Per esempio al mattino, i riti militari, che mi sono, cioè mi sarebbero, estranei: eppure il brivido, per esempio a quel ‘presente!’ che si dice a ogni caduto, per esempio all’alzabandiera, per esempio all’inno di Mameli o al Silenzio fuori ordinanza, (magari meno a Parata d’eroi, che ho sempre trovato un po’ gnëcca), che mi fanno sempre pensare al fatto che negli eserciti le bande servissero per entusiasmare i soldati – e probabilmente funzionava, se entusiasmano perfino me – vale a dire che fossero parte della retorica, quella forza così trascinante a cui ho pensato anche nel pomeriggio, leggendo il discorso di Mussolini del 16 novembre 1922: gnec anche lui, eppure esaltante, se pronunciato in un certo modo che Lui conosceva molto bene.
Cioè non sono i contenuti, ma i toni, che ti fanno essere un capo; e tutti i nostri ragionamenti, tutti i nostri contenuti così ben calibrati e politically correct vanno a farsi benedire dal primo badola che urla e strappa al pubblico un applauso di ‘mistica’ unità (eppure: io voglio farmi convincere dai contenuti, non dai toni, e vorrei convincere con i contenuti, non coi toni. Mi fido ancora della ragione illuminista, non vedo altri strumenti adatti a liberarci dal male). E la cosa che mi ha colpito di più di quel discorso: che il Testadimorto pelato ringraziasse le masse lavoratrici italiane per la loro solidarietà attiva e passiva. Dice proprio così, solidarietà attiva e passiva, cioè lo sapeva bene che non fare niente è un modo come un altro per dire ‘sono d’accordo’. E il discorso che ha letto Mario, non avresti giurato che era Beppe Grillo? E invece era Hitler nel 1932, prima di prendere il potere – certo, non si possono paragonare i loro metodi, ma l’idea che la politica sia una cosa sporca, che siano tutti uguali, che ‘noi non facciamo alleanze con nessuno’ è pericolosa di per sé, perché è già un’esclusione, un tirarsi fuori, un ritenersi migliori in assoluto, e quindi in diritto di mandare gli altri ‘fuori dai coglioni’. E invece a me da una giornata così viene fuori la voglia di parlare con le persone, di litigarci, di riprendere il filo – dentro un ‘disegno collettivo’, come lo chiama zio Mario, nel quale infilare anche i miei sprazzi di lucidità, e le signoruzze anziane che mangiavano merenda sotto i portici, e i bambini che giocavano davanti alla chiesa e le madri e i padri quasi sconosciuti che, con l’occasione, si sono guardati in faccia e non si sono poi trovati antipatici. Perché c’è bisogno anche di calore, e di allegria, e di un bicchiere di vino. L’unico dispiacere: che non abbiamo cantato la Badoglieide!

Massimo Bonifazio

1 commento:

  1. Anche a me è dispiaciuto rinunciare alla Badoglieide che, se cantata in tutte le sue strofe, è una narrazione popolare degli inganni che il popolo italiano ha dovuto subire dopo l'8 settembre, ma anche del riscatto di cui è stato capace con la lotta partigiana. Non dimentico poi che la Badoglieide è stata composta da Nuto Revelli una sera in una baita insieme a Livio Bianco, se non sbaglio.
    Non mi piace invece quel manico rotondo cacciato a fondo nel cuore dei fascisti che si canta con quei briganti neri.
    Invece il Piave non è che non mi piaccia, lo odio perchè dice "non passa lo straniero" quando il 24 maggio caso mai è il contrario. A me fanno venire i brividi anche le balle, specie quelle di Stato. Non canto l'inno nazionale fino a quando qualcuno non mi spiega dov'è la vittoria le porga la chioma che è un italiano che non capisco. Mario

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