mercoledì 20 marzo 2013

BASTA CON GLI SCIOPERI


E' un mio amico (ma questo non vuol dire niente). E' un operaio iscritto alla Fiom (e questo, almeno per me, vuol dire molto). Sulla sua pagina FaceBook, accanto ad una foto di Bersani che ha sulla fronte una cicatrice con otto punti, pubblica un commento inquietante: Otto? A me ne basterebbe uno, in mezzo alla fronte”. Ormai è come bere un bicchier d'acqua. Si vuole impiccare Tizio all'albero più alto. Si vorrebbe dare fuoco a Caio. Si vorrebbe “andare a Roma a spaccare il culo a questi infami” e a far saltare Montecitorio con una bomba. Quando il linguaggio della morte va di moda, la prima tentazione è quella di richiamare alla memoria quel tale che, senza essere ancora fascista, l'11 maggio 1915 suggeriva per la salute dell'Italia di fucilare, dico fucilare nella schiena qualche dozzina di deputatigiacchè il Parlamento è il bubbone pestifero che avvelena il sangue della nazione e occorre estirparlo”. Ma non servono le scomuniche e i cartellini gialli. Forse, come dice una mia amica pinerolese, “su Facebook la gente dà il peggio di sè o chi scrive non è la crema del mondo (senza offesa, ci sono anch'io) o è proprio lo strumento a stimolare le espressioni peggiori, per le sue caratteristiche di sfogo personale e solitario. Anch'io mi sono depressa e ho deciso che le persone vere sono meglio delle virtuali, forse”.

Ma allora, da dove viene questo desiderio di menare le mani? La mia risposta – in attesa di un'altra più convincente – è questa. Il mio amico sa che perdiamo 100mila posti di lavoro al mese. Vede che gli ospedali chiudono e quelli aperti, se ora cominciano a pagare in ritardo gli stipendi, prima o poi respingeranno anche i malati. Vede che i giovani lavorano a singhiozzo e ha capito che la loro pensione sarà sempre più lontana e miserabile. Vede che la scuola è usata come un giacimento di risorse da risparmiare. E quelli come il mio amico temono che la situazione economica sia destinata a peggiorare, chiunque vada al governo, anche se dovesse adottare provvedimenti drastici e radicali di redistribuzione della ricchezza. E allora il rimedio è un grande lavacro di violenza che mandi “a casa tutti” e ci purifichi di tutte le responsabilità fuggite e di tutti i buoni esempi rinviati al giro dopo.
Anche quando si otterrà la riduzione del numero e degli stipendi dei parlamentari, quei 120 miliardi all'anno da tirare fuori per pagare il debito e gli interessi sul debito (come stabilito dal “Fiscal compact” e dal pareggio di bilancio inserito in Costituzione con il voto di tutti) premeranno sempre più sui giovani, sugli artigiani, sulle piccole imprese, sulla salute, sulle pensioni e sulla scuola. E finiranno per consumare lo spazio per gli investimenti e per il futuro.
A quel punto, sarà sempre più difficile dare uno sbocco democratico alla crisi dei partiti e del sistema politico. Ogni invito alla pazienza, alla gradualità, al sacrificio della mediazione e della lotta di lunga durata, apparirà come un atto di complicità con il nemico da deridere e da spazzare via. Già oggi si aspetta di conquistare il 100%. Già oggi si parla di morti che parlano con cui non vale la pena parlare. Con gli altri non si parla, non si media. La “parte” che vuole diventare il “tutto” lavora per la loro cancellazione.
In alto, si affaccerà la prospettiva di un governo carismatico, autoritario o tecnico. In basso, rischia di dominare la scena la disperazione sociale del furto, dell'omicidio e del suicidio, della guerra tra poveri contro gli extracomunitari, della violenza sulle donne in famiglia e in tutte le altre forme. La guerriglia metropolitana con incendio delle auto e frantumazione delle vetrine svuoterà le piazze e darà lavoro agli avvocati. Le proteste dimostrative dei sindacati saranno invece pacifiche, ma appariranno un rito consunto. Più convincente il gratta e vinci e compro oro.
Chi vorrà tenere aperta la strada di un governo democratico, dovrà dialogare e fare i conti con la violenza, e dovrà praticare (non accontentarsi di indicare) la via del mutuo soccorso, della solidarietà sociale, dell'autogestione e dell'inclusione.
I lavoratori del pubblico impiego, in particolare, sono destinati ad essere colpiti sempre più direttamente trovandosi vittime dello stereotipo dilagante che li vuole garantiti, inefficienti e “fancazzisti”. L'arma dello sciopero non romperà il loro isolamento e sarà inefficace non per colpa della protervia dei successori di Brunetta. A milioni di lavoratori da tempo già condannati alla precarietà nell'indifferenza dei protetti dello Stato, non sembrerà vero (e anzi sembrerà ora) di poter vedere che il medesimo trattamento tocca anche ad altri. Na vota ped' unu 'n cavallo a lu ciucciu. Una volta ciascuno in groppa all'asino.
Una proposta per invertire la rotta e rompere la spirale infernale di rabbia e passiva impotenza nella quale ci vogliono cacciare? Invece di investire in scioperi inefficaci e utili solo a confermare l'isolamento del pubblico impiego, facciamo le manifestazioni al sabato pomeriggio e adoperiamo il denaro risparmiato e non versato allo Stato per costituire su base territoriale fondi autogestiti dai lavoratori per praticare la difesa della civiltà quotidiana con iniziative di solidarietà che aiutino chi sta peggio e stimolino gli sfiduciati a trovare il legame tra idealità e concretezza che abbiamo perduto. Il circolo virtuoso potrebbe riattivarsi e riaccendere speranze nel fuoco della crisi della politica, della forma partito e della forma sindacato che ci hanno fatto girare a vuoto per tanti anni.

Mario Dellacqua

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