sabato 26 gennaio 2013

MEGLIO SOLI CHE MALE ACCOMPAGNATI?


Sergio Marchionne è globale, patriottico, tricolore, ma anche sabaudo. Geografico, ma anche storico: la Fiom stia zitta, lui oggi ha realizzato il sogno di Agnelli di portare l'auto in America. Metalmeccanico ma anche politico. Tra i politici che sono tutti “osceni”, il manager col maglione si riserva di scegliere quelli che vincono. Per ora preferisce contenersi, giacchè la missione tradizionale della Fiat è sempre “filogovernativa”.
Da Detroit a Piazza Affari, l'ad del Lingotto dichiara di aver programmato di “portare in produzione negli impianti italiani 17 nuovi modelli e 7 aggiornamenti di prodotto da qui al 2016” per raggiungere “nel giro di tre-quattro anni un pieno impiego di tutti i nostri lavoratori”. Bacchetta la Fiom colpevole 114 anni fa di non essere ancora nata (1) e Landini ha buon gioco a motivare la sua diffidenza ricordando la fine che hanno fatto i 32 modelli e i 20 miliardi di investimenti promessi nel 2009. Nel suo libro sulla “Solitudine dei lavoratori”, Giorgio Airaudo getta lo sguardo oltre gli orizzonti della provincia e vede nell'auto un paradosso, un prodotto obsoleto arrivato al capolinea. Ma allora bisogna pensare a togliersi dall'isolamento riportando all'ordine del giorno la fatica vincente dell'unità d'azione. Altrimenti si possono sventolare bandiere gloriose, ma chi intasca quanto quattrocento operai consolida potere e guadagna consensi, passività e scoramenti.


SOLI O MALE ACCOMPAGNATI ?

Questo libro di Giorgio Airaudo su La solitudine dei lavoratori nella vicenda Fiat è un atto di accusa che costituisce il suo pregio e il suo limite sconcertante. Il pregio sta nella denuncia che l'auto è al capolinea. E' esaurita irrimediabilmente la spinta propulsiva che sembrava sospingere su quattro ruote l'umanità lungo la via del benessere. Anche Vittorio Foa ha scritto che l'automobile è stata il segno più concreto della libertà e persino della felicità conquistata dai lavoratori nel Novecento. Noi intellettuali, sinistra e sindacato vedevamo l'inferno negli ingorghi del traffico metropolitano, ma quell'ex bracciante diventato operaio, sulla spiaggia in canottiera bianca, vedeva i suoi figli al mare (2). Ma adesso, ecco un altro dispetto dell'eterogenesi dei fini: “il fine dichiarato non si realizza” o intervengono modificazioni “con delle componenti diverse che ne cambiano il segno” (3). L'auto con la sua capacità produttiva di 80 milioni di vetture all'anno e una domanda di 50 milioni - scrive Airaudo - ha smesso di dare occupazione e ha cominciato a toglierne: Mirafiori ha oggi poco più di 13mila operai. L'auto è diventata un paradosso. E anche quel metalmezzadro vede che la miracolosa scatoletta di lamiera ad alta tecnologia ha cessato di portare libertà ed è diventata invece una prigione con il suo inquinamento, il suo elevato consumo energetico, i suoi incidenti stradali che uccidono i giovani senza troppi allarmi sociali. E ci sarebbe bisogno urgente di altri tre pianeti carichi di risorse energetiche da saccheggiare se volessimo estendere a tutta l'umanità il diritto di perseguire questa meta di progresso. Dunque, o neghiamo con la guerra e con la forza a chi ha il torto di non essere occidentale la democrazia automobilistica, o ci acconciamo a una più ragionevole ed egualitaria distribuzione della ricchezza, del lavoro, dell'energia e dei consumi fra tutti i popoli della terra (4).
Impresa, governi e sindacati sembrano invece aggrappati a pezzi che cadono. Non si dividono su come gradualmente riconvertire l'industria automobilistica verso “un futuro della mobilità che si misuri con i limiti ambientali ed energetici del pianeta” spendendo tutti i soldi pubblici e privati necessari ad “un piano che unisca e valorizzi, integrandole, tutte le forme di trasporto dalle autostrade del mare alle ferrovie”. Piuttosto, si scontrano per stabilire in quale misura i lavoratori dovranno contribuire all'alleggerimento competitivo dei costi e all'arricchimento qualitativo del prodotto: con il contrattato supporto della mano pubblica e con lo spregiudicato ricorso alle delocalizzazioni fiscalmente incentivate.
Come lo stesso Airaudo rivendica, il conflitto non si esaurisce sul terreno della redistribuzione, ma coinvolge il modello di sviluppo e di civiltà, non appena incrocia il nodo dell'occupazione. “La mobilità va ripensata – dice Airaudo – cambiando i comportamenti di consumo pubblici e privati” (5). Allora bisogna togliersi dall'isolamento, non ritagliarsi un ruolo che ti lascia volentieri consumare nella denuncia della protervia padronale, nella fedeltà ad oltranza verso la comunità operaia assediata, nella dolente rappresentazione della sua democrazia calpestata, nella difesa della contrattazione svuotata.
Temo che sia proprio questo il limite del libro di Giorgio Airaudo e della sua Fiom. I ricatti si respingono mettendo alla berlina la pratica dei sindacati collaborazionisti – che pure ci sono - con scioperi dichiarati sui giornali, ma disertati da troppi operai? Giova riproporre equiparazioni leggendarie e identitarie con gli anni duri di Valletta? D'altra parte, da quegli anni si uscì dialogando con gli operai più deboli. Si tornò a perdere perchè li riconsegnammo all'avversario attraverso la fierezza della scomunica quando scoprimmo che essi cambiavano, ma non come volevamo noi. Perdemmo non solo per questo, ma anche per questo.
Unità d'azione, una fatica bestia sempre da affrontare. In un altro contesto di dibattito elettorale, me l'ha rispiegato con parole sue il mio amico Pasquale, un operaio della Streglio di None oggi in pensione che ha deciso di votare SEL e non Ingroia: è stufo di gridare, di inalberare orgogliosi cartelli di protesta, di respingere mediazioni e di sventolare gloriose bandiere “mentre gli altri te lo ficcano in quel posto”. Ci devo pensare. Nel frattempo ringrazio Gianluigi Saccione, delegato Fiom, perchè mi ha invitato a leggere il libro.
Mario Dellacqua

1) La gara per stabilire chi ha ragione guardando l'anagrafe, appare piuttosto discutibile. Comunque, si può cogliere l'occasione per precisare che la Camera del Lavoro torinese è nata il 1 maggio 1891. Otto anni prima della Fiat, aveva scelto di essere “esclusivamente destinata a difendere gli interessi della manodopera contro il capitale”. P. SPRIANO, Storia di Torino operaia e socialista, Einaudi, 1958-1960-1072, p. 24.
2) G. RIOTTA, Foa, è l'automobile che ha liberato gli operai, La Stampa, 13 novembre 2011.
3) V. FOA, Scelte di vita, Einaudi, 2010, p.15-16.
4) V. FOA, Il cavallo e la torre, Einaudi, 1991, p.74.
5) G. AIRAUDO, La solitudine dei lavoratori, Einaudi 2012, pag. 104, euro 10. Vedi p. 3-52-96.

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