domenica 27 gennaio 2013

L'ALPINO E IL VIOLINISTA: DUE PADRI NEL GIORNO DELLA MEMORIA


Alla vigilia del giorno della memoria 2013 sono raggiunto da due notizie sorprendenti e per me emozionanti. La prima riguarda Giovanni Panosetti che invia al suo giro di amici due vecchi articoli che lo riguardano. Uno è stato pubblicato il 30 gennaio 2005 da Patria indipendente, la rivista dell'Anpi; il secondo comparve il 24 giugno 2009 su L'Eco del Chisone. Entrambi raccontano che Giovanni è nato il 3 novembre 1944. Molti sono venuti al mondo mentre infuriavano i bombardamenti, il freddo, la fame, i rastrellamenti e la borsa nera.
Ma a Giovanni è toccato di nascere addirittura nel lager di Esslingen, vicino a Stoccarda, dove i suoi genitori erano stati deportati. Vittorio Panosetti suonava il volino non al Conservatorio, ma ai Mercati generali, perchè aveva rifiutato la tessera fascista. Sua madre Amalia era invece una donna di servizio. Deportati a Esslingen dopo una retata dei tedeschi a Porta Nuova, pensavano di poter portare a casa la pelle perchè nel marzo 1944, quando Giovanni fu concepito, l'esercito rosso stata avanzando su Berlino. Ma Vittorio non potè coronare il suo sogno e morì il 29 gennaio 1945, a causa delle gravissime ferite riportate in un bombardamento. Giovanni era stato battezzato il giorno prima nella camera del suo povero papà agonizzante.
La seconda notizia la trovo su “Avvenire” del 24 gennaio scorso e riguarda il capitano Giovanni Gheddo che finì i suoi giorni quarantenne nella tragica spedizione dell'Armir in Russia. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, non volle abbandonare nelle mani dei russi e nel gelo atroce della steppa i feriti intrasportabili. Preferì sacrificarsi rimanendo con loro pur di consentire ai militari più giovani di tentare nella ritirata la via del ritorno a casa. Mentre annuncia il probabile avvio del processo di canonizzazione del capitano Gheddo, “Avvenire” ricorda il figlio Piero, diventato missionario, ma ha il torto di dimenticare che Franco e Mario – gli altri due figli - hanno scelto la via dell'impegno sindacale nella Cisl, partecipando da protagonisti negli anni Sessanta alla rinascita di un sindacalismo autonomo e unitario alla Fiat e a Torino. Franco, in particolare, deceduto nel 1997, è stato segretario della Cisl torinese dal 1979 al 1985 e con lui ho contratto un debito di riconoscenza: la sua saggezza fu decisiva, tra l'altro, nel guidarmi sulle orme di Cesare Delpiano di cui era stato successore.
Anche Giovanni Panosetti si è gettato nell'avventura del movimento operaio torinese, diventando uno dei leader più amati a Mirafiori durante le lotte del '68-69 che egli contribuì ad animare sfidando con coraggio contagioso l'emarginazione e i licenziamenti per rappresaglia che potevano colpire i militanti comunisti. La sua saggezza di onnivoro autodidatta lo proiettò al Comitato centrale del Pci negli anni di Berlinguer. Ancora oggi, il suo entusiasmo generoso viene da un misto travolgente di convivenza fra orgoglio e spontanea umiltà. Il suo altruismo permane, a dispetto delle asprezze e delle delusioni patite partecipando alle tormentate vicende rifondarole.
Niente: i padri non li possiamo scegliere, tutti li dobbiamo rispettare e riscoprire. Non avverto alcun bisogno di beatificarli. Imparando dai padri degli altri possiamo persino riconciliarci con il nostro, se l'intemperanza delle nostre ribellioni giovanili ha lasciato qualche conto in sospeso e molti debiti. E poi c'è questo grande buco nero della guerra che ha inghiottito i nostri genitori e dal quale ci hanno fatto uscire. Hanno saputo ricostruire l'Italia con molto lavoro, molte lotte e anche molti errori. Ci hanno riempito l'anima del dovere della gratitudine e dell'impegno rinnovato per l'armonia tra libertà ed uguaglianza in forme sindacali, civili e politiche che tocca a noi inventare e continuamente sperimentare. Come è scritto sulla tessera ANPI: “La memoria batte nel cuore del futuro”.

Mario Dellacqua

1 commento:

  1. Le odierne dichiarazioni di Berlusconi sulle ridotte responsabilità del fascismo sono l'ennesima conferma delle attitudini autoritarie dell'ex presidente del Consiglio. Per l'uomo di Mediaset una società ordinata è costituita da bonari ceti privilegiati e proprietari disposti alla beneficenza illuminata. Le virtù delle classi subalterne si misurano sulla spontaneità con la quale tendono i polsi ai vincoli e, specialmente,se accettano la loro condizione con stoica disciplina e senza invidia. Quando le classi subalterne rivendicano una più giusta ripartizione della ricchezza prodotta, compiono un atto blasfemo che turba l'armonia sociale ed obbligano i Mussolini di tutti i tempi e di tutti gli spazi ad usare la mano pesante per ripristinare l'equilibrio sconvolto. Siamo in attesa di conoscere le cose buone del Mussolini ai suoi primi passi: l'interventismo? il proposito di fucilare nella schiena, dico fucilare, i deputati contrari alla guerra perchè sensibili alle riserve del "cagoia" giolittiano? La pianificazione del delitto Matteotti? I treni che viaggiavano in orario, la bonifica delle paludi pontine, i viaggi popolari, il patronato scolastico, la disciplina e l'educazione militare nella scuola? Ogni regime dittatoriale cerca le basi del suo consenso popolare e gli alpini che Mussolini voleva mandare a crepare senza scarpe in Russia, dovevano partire entusiasti e convinti di vincere, non smadonnando ad alta voce contro il duce.
    Berlusconi assolve poi, assieme a Mussolini, i gerarchi che approvarono l'alleanza con la Germania, perchè con il più forte si viene a patti e i prepotenti si abbracciano con la viltà del servilismo, non con la dignità della ribellione. Berlusconi non ha mai sentito parlare dello spirito di Monaco che aprì la strada in Europa al dilagare del nazismo? Poichè il cavaliere di Arcore non può tuttavia separarsi dai sentimenti ancora ben vivi dei figli e dei nipoti delle vittime del nazifascismo, specie a ridosso di una prova elettorale, cerca di blandirli con l'innocua condanna delle leggi razziali. Tutto il resto dell'orribile impalcatura è però approvata o assolta. Spero di aver dimostrato che il leader del Pdl è non solo offensivo, ma pericoloso per la democrazia. Dovremmo tutti sentirci chiamati ad una ribellione tranquilla e ferma.
    Mario Dellacqua

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