domenica 14 ottobre 2012

Nella pancia della balena Banca


L’icona della crisi finanziaria che sta attraversando l’intero sistema mondiale potrebbe essere la balena/banca arenata in una spiaggia.
Con un rapido viaggio, di collodiana memoria, proviamo ad analizzare ciò che ha comportato per il cetaceo la perdita della rotta.
Se quello in corso è un terremoto, il primo epicentro è senza dubbio l’America, in particolare le Banche americane d’affari.
Trattasi di banche che non svolgono direttamente la classica attività di raccolta e d'impieghi con una loro clientela privata. Esse sono intermediarie o direttamente controparte di altre istituzioni finanziare. Questo spiega come le vicissitudini di una banca d’affari possano provocare difficoltà su tutta una serie di altre banche. Se poi consideriamo che la crisi ha interessato le maggiori, possiamo cominciare ad avere un’idea della lunghezza e dell’intreccio della curva del sisma.

Consideriamo anche il contesto in cui operavano queste banche. I responsabili della politica degli USA hanno sostenuto l’economia del proprio paese immettendo nei mercati ingente liquidità a basso costo. La filosofia di base era di far si che la gente comprasse grazie alla facilità con cui poteva ottenere dei prestiti. In particolare il finanziamento dell’acquisto degli immobili ha dato ampie concessioni anche a soggetti che per la loro situazione finanziaria non avevano adeguate garanzie per il rimborso del debito. L’inflazione, l’aumento dei prezzi e l’incremento della disoccupazione hanno determinato l’impossibilità per una vasta fascia dei debitori a far fronte al proprio debito, scoprendo presto la pericolosità di tale impostazione economica. Le banche, pur garantite dal valore dell’immobile, hanno avuto gravi perdite, infatti tale valore è sensibilmente diminuito perché, pignorando e vendendo, hanno creato esse stesse le condizioni per la diminuzione del valore.
Fin qui sembrerebbe un problema tutto americano, ma come spesso avviene con la moderna “finanza strutturata”, quel debito concesso assumendosi grossi rischi è stato ceduto e acquistato da terzi (es. Cirio, Parmalat e Bond Argentina). Nel moderno sistema globalizzato i terzi in questione può essere tutto il resto del mondo, ivi compresi ognuno di noi, qualora avessimo affidato il nostro risparmio a un gestore che a sua volta avesse ritenuto conveniente l’acquisto di questa tipologia di titoli, senz’altro remunerativi, ma con rischi altissimi.
Nel mondo della finanza c’è una regola prima e universale che dice: “Il guadagno che ti devi aspettare domani sarà sempre in proporzione al rischio che ti assumi oggi”. Viene da chiedersi come mai professionisti del settore abbiamo disatteso una regola lapalissiana. Fondamentalmente per due motivi: il primo perché gestiscono capitali non propri ma dei risparmiatori, quindi il rischio grava su questi ultimi, il secondo perché vengono giudicati dal mercato con una logica non a media o lunga scadenza, bensì dettata dalla necessità di creare valore trimestre per trimestre secondo il calendario di borsa. I gestori dei fondi in un certo senso possono essere vittime e carnefici allo stesso momento. Come avviene per i grandi calciatori, i più nascono e spariscono in breve tempo, ne arrivano sempre di nuovi e sempre più giovani e rampanti ad alimentare un mercato dove i migliori si vendono a caro prezzo ed i mediocri cercano di riciclarsi.
La velocità dei moderni mezzi di comunicazione è fattore di estrema importanza per lo sviluppo dei mercati. Se nel circuito sono immessi dei titoli definiti “tossici”, prende piede la paura dell’epidemia (la stessa logica dell’influenza suina). Ogni banca verifica se è interessata dal problema e in che misura. Subito dopo si chiede quanto lo possano essere le altre banche sue controparti. Nasce una sindrome di auto protezione che blocca il mercato dei rapporti interbancari e produce un aumento del costo dei pochi scambi che vengono effettuati. A calmierare il mercato intervengono le banche centrali e i governi. Le banche centrali finanziando direttamente a un tasso di riferimento molto basso il sistema che altrimenti risulterebbe paralizzato. Il governo come nel caso nostro, mette a disposizione delle banche finanziamenti non a fondo perduto ma con l’impegno di restituzione e pagamento d’interessi (Tremonti Bond). Alla prova dei fatti le banche hanno disertato l’offerta del governo sia perché nettamente meno favorevole di quella della banca centrale sia per non dover subire quella che veniva considerata un’invasione di campo del sistema pubblico verso il privato, a maggior ragione se sotto la minaccia di ridimensionare i lauti compensi dei loro dirigenti.
Quali i riflessi di tale situazione.
Il governo si dice salvatore delle banche per aver messo a disposizione i finanziamenti necessari alla saldezza della loro struttura. In effetti però ha dovuto spendere poco o niente.
Insomma uno spot a buon mercato.
Le banche più che a finanziare l’economia sono tornate alla finanza, prova ne sia l’andamento positivo delle borse. Risulta così quanto mai bugiardo l’assioma ripresa delle borse uguale ripresa dell’economia. In effetti la gran parte della gente è passata dall’angoscia di vedere il proprio debito a tasso variabile lievitare quando i tassi salivano, all’impossibilità di usufruire dei costi bassi attuali perché se non ha perso il lavoro, vive l’incubo della cassa integrazione.
La balena si è adagiata sempre sullo stesso fianco.
Adesso possiamo comprendere perché:
  • Il cliente depositante della banca subisce un continuo input a migrare dai titoli di stato o dalle azioni (forme d’investimento per le quali la banca percepisce solo una commissione all’atto della sottoscrizione senza avere la gestione diretta delle somme) verso il risparmio gestito (fondi d’investimento) o prodotti previdenziali assicurativi.
Nella stragrande maggioranza dei casi le società che gestiscono i fondi e le società assicurative che fabbricano e gestiscono questi prodotti sono interamente o in larga parte delle banche stesse. L’operatività avviene in chiaro conflitto d’interessi, peraltro comunicato al cliente e da questi sottoscritto, ma non sempre compreso.
Questo intimo collegamento tra società di gestione e banche fa si che il gestore sviluppi le sue strategie, quando gli è possibile, anche acquistando titoli della stessa banca di riferimento. Vi sono stati dei casi in cui detti titoli, non avevano immediati brillanti prospettive e la banca se ne liberava vendendoli ai propri clienti o meglio al fondo da loro sottoscritto.
E’ noto che la Banca d’Italia è favorevole a tagliare questo cordone ombelicale e romperne il conflitto d’interessi ma le banche, a oggi, come si è solito dire “ hanno fatto orecchie da mercante”.
Il risparmiatore esce da un regime di fai da te e si affida a professionisti.
Il risparmiatore perde nel dettaglio il contatto diretto con il suo investimento.
Il risparmiatore più prudente può scoprire posizioni di rischio da lui non comprese e certamente non condivise ma che lo coinvolgono in quanto partecipante a un fondo d’investimento.
I prodotti assicurativi/previdenziali sono detti tali unicamente in quanto alla scadenza prevedono l’eventuale scelta di una rendita. In passato hanno beneficiato di migliore fiscalità grazie a questo status. In effetti, sono delle costruzioni finanziarie collegate all’andamento dei fondi sottostanti o degli indici mercato.
A fronte di un primo buon guadagno, vincolano la futura redditività a una scommessa, con tutti i rischi che la cosa comporta. Perché sono tanto sollecitati dalle banche? Perché loro hanno un forte guadagno commissionale iniziale e gli assicura di lavorare sul mercato finanziario senza rischio diretto con i capitali del cliente.

Quanti lavoratori hanno capito che mettendo il loro TFR in un fondo abbandonavano la sicurezza di un rendimento minimo ma sicuro ed entravano in un sistema aleatorio? Per assicurarsi una pensione tranquilla ci vorrebbero ben altri capitali e tanta, tanta fortuna. Unico risultato sicuro delle nuove disposizioni sul TFR e la previdenza complementare: un grosso flusso di capitali immesso nelle borse valori.
Quanti Comuni, Province e Regioni, tra le pieghe dei loro bilanci, hanno esposizioni rilevanti in prodotti “derivati” fondati su scommesse future. Consiglieri e sindaci sono stati allettati dal fatto che, la controparte con la quale hanno stipulato la scommessa, ha pagato loro una cifra iniziale (utile a sanare subito il bilancio dell’ente), senza riflettere, anche solo in maniera empirica, che in futuro, chi è disposto a pagare oggi, è molto probabile che capitalizzerà ampiamente quanto ha anticipato.
Pochissimi o forse nessuno degli interlocutori delle banche era in grado di comprendere veramente i meccanismi sottostanti ai prodotti negoziati. Tantissime le perdite già dichiarate da pubblici amministratori e probabilmente esse rappresentano solo la punta di un iceberg non ancora emerso nella sua interezza.
Ora i tribunali sono chiamati a decidere sui ricorsi di tali Enti che, per bloccare le pesanti perdite delle operazioni da loro sottoscritte, ammettono di aver agito da incompetenti.
Per contro è pur vero che le banche italiane, nell’ambito della grande crisi finanziaria in corso, sono le meno esposte. Quella vecchia battuta che diceva che da noi le banche danno i soldi a chi dimostra di non averne bisogno, era un’accusa di burocratica rigidità nelle concessioni di finanziamenti, ora è una stampella di parziale tranquillità per il nostro sistema domestico.
Se gli italiani hanno un debito medio meno del doppio del loro reddito mentre gli americani ne hanno il quadruplo, bisogna dar atto a chi ha gestito il rischio (quantomeno proprio) del credito verso il cliente privato di un atteggiamento giustamente prudenziale e all’italiano medio di aver confermato una grossissima propensione al risparmio che ci pone in testa alle classifiche mondiali. Questa è la vera riserva sociale su cui si regge il sistema in questo momento. Stiamo attingendo a quelle riserve di grasso che il nucleo familiare allargato a genitori, nonni, zii mette a disposizione per fronteggiare l’emergenza.
In presenza di una crisi profonda del sistema, rassicurato il mercato e i risparmiatori, ristrutturato il sistema stesso da un punto di vista economico occorre stabilire nuove regole. Il problema principale sarà quello di riuscirle a fare, considerato il forte contrasto in tal senso dei centri di potere e di interessi.
Come fa uno Stato a dar nuove regole ad Istituzioni che hanno assunto una dimensione tale che minacciando la bancarotta determinerebbero il fallimento dello Stato stesso?
E’ caduto il muro del comunismo, ma quante impalcature necessitano a sostegno del capitalismo in attesa della terza via.
Allo stato attuale nessuno l’ha saputo trovare anche se la strada è piena di cartelli che la indicano:
  • Non è la quantità delle regole che ne determina l’efficacia bensì l’applicazione.
  • Un mercato può essere libero ma non nell’applicazione delle regole.
  • La politica che lascia correre il mercato, essa stessa ne è travolta.
  • Una politica senza etica non è in grado di dare regole di etica.
  • Non può esistere un conflitto d’interessi tra il controllore e il controllato.
  • Il problema del singolo paese, in regime di globalizzazione, diventa il problema di tutti.
  • La ricchezza è fatta di beni reali e non di costruzioni finanziarie.
  • La vera ricchezza non è quanto abbiamo oggi sulla carta, ma quanto avremo anche domani e potrà condizionare positivamente il nostro futuro.
Mario Ruggieri
29 gennaio 2010
filciop@libero.it

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