venerdì 19 ottobre 2012

INDESIT: L'INTESA E' EQUILIBRATA, L'AZIENDA CHIUDE


Erano presenti 220 lavoratori su 357 interessati. Hanno votato in 212. I sono stati 195. Contrari 15 e due schede nulle. Con il referendum di giovedì 11 ottobre, la maggioranza dei dipendenti dell'Indesit di None ha approvato l'intesa fra azienda e sindacati: il 31 dicembre l'attività produttiva del sito di None cesserà definitivamente. “Intesa equilibrata” dice la Fiom-Cgil. “Accordo sofferto” dice la Uilm. “L’intesa garantisce una soluzione occupazionale per tutti i lavoratori” sottolinea la Fim-Cisl.
Accorsi all'uscita per intervistare i lavoratori, i microfoni di TG SKY 24 fanno una fatica bestia a trovare interlocutori disposti a parlare: bocche cucite, occhiate ostili, smorfie irridenti cariche di risentimento, mani alzate in segno di resa o di rifiuto. Le rare dichiarazioni in libera uscita non nascondono l'inesorabile miscela di rabbia e rassegnazione. Nonostante tutto l'azienda si è interessata a trovare una soluzione. E o accetti o rifiuti e ti trovi in mezzo a una strada”. 
Un più ravvicinato punto di osservazione dell'umore dei lavoratori è su FB il sito denominato movimento dei lavoratori Indesit che ha scelto un teschio come suo simbolo non certo beneaugurante. E nel linguaggio dei lavoratori le immagini di morte (per impiccagione o fucilazione) si sprecano. In un caso o nell'altro - dice Federica Paoli - siamo noi che abbiamo il cappio al collo....sono loro che tirano la corda”. “Alla finescrive Gennaro Coletti – ci hanno messo con le spalle al muro e ci hanno detto 'scegliete voi di quale morte morire' e intanto loro si spartiscono la torta alla faccia nostra. Vorrei tanto sapere il loro contentino a quanto ammonta. In ogni caso tutto in medicine se lo devono mangiare.
Eppure la ditta con sede a Fabriano ce l'aveva messa tutta. L'accordo del 7 luglio 2009 prometteva di tenere aperto lo stabilimento di None e aveva vigorosamente confermato la “missione produttiva” di Brembate di Sopra e di Refrontolo. Ma poi a dicembre 2010 i due siti nel bergamasco e nel trevigiano erano stati chiusi, non senza solenni programmi di riqualificazione professionale dei lavoratori e di rilancio produttivo. La volta di None è venuta ad aprile, quando veniva annunciato il trasferimento di tutta la produzione di lavastoviglie a Radomsko in Polonia. “Dove i salari – scriveva un comunicato del circolo rifondarolo nonese - sono più bassi. Dove le agevolazioni statali del governo polacco e i contributi comunitari sono più vantaggiosi”.
Con le spalle al muro si trova anche Dario Basso della Uilm che spiega davanti ai cancelli: Il problema è il costo del lavoro pro capite. A None è di 22 euro per ogni lavoratore, mentre a Radomsko è di 5”. L'azienda compie il delitto e riesce nel capolavoro di presentarsi innocente. In Europa persiste un andamento negativo del mercato e l'incrudelimento della competizione, “con l'ingresso, in misura non marginale, di nuovi attori che realizzano il loro prodotto in paesi a minor costo” ha determinato un “significativo calo del prezzo medio di mercato”. Di lì a dire che non è più possibile la permanenza a None della produzione di “lavastoviglie ad incasso 60 cm. per i mercati a più elevata redditività” di Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Olanda, Lussemburgo, Belgio e UK, il passo è breve.  E suona poco convincente la conferma della “centralità dell'Italia” per il gruppo Indesit che assicura “la rilevanza strategica” degli stabilimenti di Caserta, Fabriano e Comunanza. Solo la “profittabilità” di None è “in rapido e continuo peggioramento”. Per “rendere più competitive le lavastoviglie” polacche, i nonesi devono avere il buon gusto di farsi da parte e gli altri devono fare il favore di credere che il carciofo non perderà altre foglie.
I progetti di riqualificazione produttiva e di riorganizzazione dell'area nonese, sinora senza risultati nonostante il fiancheggiamento dal 13 luglio 2010 di 24 mesi di CIGS, vengono però riproposti. Il ricollocamento dei 357 lavoratori e la “reindustrializzazione del sito” è affidato ai progetti di un Comitato composto da azienda, sindacati, Provincia e Comune di None. Mentre il Centro Innovazione impiegherà 53 soggetti, il “Polo logistico e di assistenza tecnica” movimenterà 800.000 prodotti l'anno servendo l'Italia e i principali Paesi dell'Europa occidentale, con 41 dipendenti in pianta stabile ma anche, a discrezione delle parti, con altri lavoratori part time inseribili in specifici percorsi formativi. Sul fronte delle soluzioni interne al Gruppo, sarà mantenuto a None l'Outlet con l'impiego di 3 lavoratori, mentre per altri 5 è previsto il ricollocamento presso altre sedi.
Le eccedenze verranno “gestite” con “ricorso alla mobilità” del dipendente che avrà maturato “il trattamento pensionistico anticipato o di vecchiaia nel periodo di utilizzo degli ammortizzatori sociali” e con incentivazioni all'esodo (da un minimo di 10mila euro ad un massimo di 18mila euro) del dipendente che non si opporrà alla risoluzione del rapporto di lavoro o accetterà una ricollocazione part time. Sarà possibile prevedere pure un ricollocamento all'interno del gruppo Indesit in altre realtà produttive e organizzative dell'azienda.
Altri lavoratori verranno assunti a tempo indeterminato in aziende terze con più di 20 dipendenti e ubicate “in zone quanto più limitrofe all'azienda e/o al Comune di residenza” che garantiranno “equivalenza di profilo professionale” e “retribuzione analoga”. A queste aziende, l'Indesit potrà versare fino a 18mila euro di incentivo oltre alle agevolazioni previste dalla legge. La precedenza verrà accordata alle categorie protette, ai lavoratori monoreddito e/o ai lavoratori con coniuge in azienda.
Gianluca Ficco, coordinatore nazionale del settore elettrodomestici per la Uilm dichiara che “sono gia' pervenute da parte di aziende terze 79 manifestazioni di interesse ad assumere a tempo indeterminato lavoratori attualmente dipendenti di Indesit; infine sono in corso trattative con tre soggetti interessati a reindustrializzare il sito, che potenzialmente potrebbero riassorbire massimo 215 lavoratori”.
In effetti, questa parte è la più innovativa dell'accordo, ma non debella la diffidenza dei lavoratori che temono il proliferare di “finte aziende fantasma che non ricollocano nessuno e i sindacati si prostreranno accettando quattro monete e 400 persone disoccupate”. Su FB Federica Paoli si chiede “quando ci diranno quali sono queste favolose aziende che assumono in questo periodo di crisi”. “Mai – risponde Erica Castagno – perchè non esistono o se esistono cercheranno gente specializzata”. Milena Fanutza invita a non perdere la speranza, “arriveranno momenti migliori”. Per ora sono tempi di amari bilanci: 24 anni fa – osserva Dino Zecca - era meglio se te ne stavi tu a montare ascensori ed io a fare basi di scavatori in cip”.
A Romeo Marco Barboni “la pelle piace venderla cara e possibilmente non regalarla”, anche se “mantenere un giusto presidio fuori dai cancelli sembra un'impresa ardua ove noi tutti abbiamo peccato”. E Anna Farm Di Canito rivolge i suoi “complimenti per la lotta a tutti...pensa se non avessimo fatto tutto quello che abbiamo fatto, cosa ci avrebbero proposto: tarallucci e vino”. Assieme agli accenti autocritici per la non sempre corale conduzione della lotta (ma ciò era evitabile?), affiorano sensi di colpa per la violazione dell'etica del lavoro cui ci si sente vincolati e per l'isolamento sociale che può investire chi, anche solo per qualche mese, può essere accusato di essere pagato per non lavorare. “Ma sì, dai dice Milena - qualcuno qualche anno a scrocco ancora lo fa tutto sommato”. “A scrocco di chi? Con un'ItaGlia così dice Claudio Masoero - meglio l'Angola. Anche se avesse 24 mesi di cassa integrazione, Vincenzo Frangiamore si dovrebbe accontentare della miseria, pensa di non prendere più di 700 euro al mese, e per dopo si chiede: A chi concedo la manodopera che sono vecchio per lavorare e giovane per la pensione?!?”
Claudio Masoero ce l'ha con “dipendenti statali fancazzisti, politici corrotti e mafia”. Consiglia di non “dare aiuti a 'sti buffoni di sindacalisti. L'Indesit doveva stare a None e produrre a None. Punto. Nessuna trattativa con questa azienda voltagabbana che parla e promette a vanvera. Buffoni”. Antonella Brescia gli chiede: “ma perchè non fai tu il politico o il sindacalista visto che sei così bravo a parlare e a trovare soluzioni o insulti per tutti”. L'idea di sbattere i pugni sul tavolo, di mostrare gli attributi e di evitare ogni trattativa con i suoi compromessi probabilmente non avrebbe incontrato l'opposizione dell'azienda. Con l'intesa, Viviana Crisolfi è più possibilista: “Meglio così che un calcio nei c... giusto?” Prima di demolire l'accordo, Sabina Menudo preferisce vedere quello che capita perchè “non ci sono alternative”. Dino Zecca riflette a modo suo sull'impossibilità di ordinare alle industrie di assoggettarsi alla vincolante sovranità della democrazia, fosse pure quella espressa dall'assemblea o dal referendum dei lavoratori. “Che cosa succederebbe se si ritrovassero 360 voti contro? Si ritornerebbe indietro? Non credo”.
Mario Dellacqua

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