martedì 28 agosto 2012

I DIECI SMARRIMENTI DOPO LA VICENDA MERCATO'

1) Quando si candidò alla guida della Regione Piemonte, Roberto Cota scrisse nel suo programma: “Prima i nostri”. La Sindaca di None è andata oltre e alla prima occasione buona – le assunzioni al Mercatò – ha dichiarato: “Esclusivamente i nonesi, tranne alcune figure professionali”. Strano. A None non mancano le figure professionali, ma qualcosa bisogna pur concedere alla libertà d'impresa. Per il resto, non passa lo straniero. Una così spontanea adesione ai più (in)sani principi ispiratori del leghismo era difficilmente immaginabile in ambienti politici che si richiamano al centrosinistra. Ma dov'è il progresso e dov'è finita la solidarietà?


2) Gli emigrati sulle rive del Chisola dalle Langhe della malora negli anni '30, i veneti e gli alluvionati del Polesine nel '51 trovarono molte difficoltà, diffidenze campanilistiche e forse ostili voci in circolazione.

3) Situazioni e tempi incomparabili con l'emigrazione degli anni '60 e '70. Allora il lavoro c'era. Oggi manca. Anche allora voci in circolazione dicevano che “i meridionali rubano il lavoro in casa d'altri”. Ma era un pianto di gamba sana. Automobili ed elettrodomestici – otto ore alla catena sono stressanti e faticose – trainavano la prosperità di ogni commercio e lo sviluppo impetuoso dell'edilizia faceva salire il prezzo delle aree agricole diventate edificabili. Qualche alloggio, se sostituiva o si aggiungeva al fieno in cascina, faceva comodo. Perciò fu facile tacitare chi voleva far tornare i meridionali a casa loro.

4) Oggi è tutto più difficile. Nei suoi anni migliori, però, il movimento sindacale fu rinvigorito e rinnovato dall'apporto dei lavoratori del sud. Ex contadini ed ex artigiani dei mestieri più decrepiti portarono con sé nuovi dialetti, nuove musiche, nuovi piatti, nuove ragazze. Il risultato fu un contagioso vento di uguaglianza, una stagione di diritti, di conquiste, di libertà e di benessere.

5) Nei suoi anni migliori, il movimento sindacale mescolò la memoria della Resistenza con la memoria dell'occupazione delle terre. Nelle sue piattaforme rivendicative, maturò la convinzione che per redistribuire la ricchezza necessaria al riequilibrio dell'economia italiana, bisognava dirottare lavoro e investimenti produttivi nel Mezzogiorno. Non solo aumenti salariali per i già occupati nelle industrie del Nord.

6) Quel movimento sindacale – unitario di cattolici, socialisti, comunisti, senza tessera – aveva ragione. Eppure fu vinto. La sua proposta di un nuovo modello di sviluppo fu sconfitta per tante ragioni. Anche con le bombe. Fu respinta dall'alleanza fra una classe politica vorace e una classe imprenditoriale pigra. La prima pensava solo a riprodursi galleggiando sulle clientele finanziate dalle spese improduttive. La seconda sapeva investire e innovare solo per risparmiare forza lavoro. Ora che ha vinto, ci lascia senza apparato industriale in balia delle speculazioni dell'alta (!) finanza.

7) Sconfitto, frantumato e ridotto a merce, il lavoro umano fluttua liberamente ad un prezzo sempre più basso. E tutte le scuse – anche un miserabile certificato di residenza – vengono raccattate per seminare l'illusione che è possibile salvarsi a scapito di chi sta come te se non peggio di te.

8) Simeone e la sua équipe aiutano questa vittoriosa caricatura provinciale del liberismo a combattere la sua lotta trionfale contro ogni residuo baluardo di solidarietà. Come se, sulle rive del Chisola, nessuno avesse mai incrociato i percorsi, condiviso le lotte, rispettata la storia del movimento sindacale.

9) Non stupisce che il leghismo vinca a dispetto dell'ondata di corruzione che sommerge il partito di Bossi e di Maroni. Stupisce che i suoi sedicenti oppositori ne respirino l'aria a pieni polmoni. Stupisce che coltivino il virus che dovrebbero debellare.

10) Senza lotte per nuovi progetti industriali, niente ricollocazione produttiva, niente mobilità e riqualificazione professionale, niente prospettive di nuova occupazione. Solo promesse, rassicurazioni, raccomandazioni. Il solito piatto di lenticchie fatto di nuova precarietà e altra dipendenza per tutti. Amarezza e rabbia non possono bastare. Come sempre.

Mario Dellacqua



P.S. Leggo sul Manifesto del 1 agosto che Cesare Cases oscillò a lungo tra il lager come unicum e lager come continuum rappresentativo delle “strutture della vita quotidiana” in un mondo contemporaneo “apparentemente dritto”. Preso a riflettere sulle vicende del nostro microcosmo, mi sento insidiato a propendere per la seconda ipotesi. Bisognerebbe interrogare il nostro Massimo germanista, per sapere se c'entra qualcosa o se sono come al solito esagerato ed apocalittico. Forse bisogna serenamente saper oscillare, cercando ogni giorno il miglior equilibrio per far sì che la morte ci sorprenda vivi con suo gran disappunto.

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