martedì 20 marzo 2012

IL CARDINALE MARTINI E LA ZAMPILLANTE SERENITA' DEI NOMADI




Se il caso ti porta a incontrare “Le ali della libertà” che hanno fatto volare a Gerusalemme gli esercizi spirituali di Carlo Maria Martini, sono curioso di sapere come ne esci.
Io bene, se ti interessa saperlo, ma non perchè consolato, convertito o rinfrancato con l'avvenuto rammendo di affezionate convinzioni logorate dai dispetti dell'evidenza.
Anche il cardinale dice che bisogna “resistere, resistere, resistere” tra “nubi, lampi, venti e grandine” dei nostri tempi. Anche il Cardinale ha i suoi militanti da proteggere dallo scoraggiamento e da sgridare perchè si lamentano sempre di essere in pochi, di avere pochi giovani, di vedere sempre le stesse facce, di essere inefficaci. E li sgrida perchè invece dovrebbero ringraziare il Signore “per il solo fatto di vivere in un contesto così pagano”. Al mondo c'è più male o più bene?
Martini non sprofonda nel dilemma, perchè solo Dio sa come va il mondo, ma non consiglia neppure di tirare a campare. Anzi, vede bene e denuncia i limiti della Chiesa cattolica. Quelli che travestono i loro risentimenti e i loro rancori di nobili motivazioni mostrando “in tutto il loro essere di non avere pace dentro di sè”. Quelli che “si rodono per anni e sprofondano in assurde depressioni”. Quelli che non sono allegri e non possono pretendere di spronare gli altri all'impegno. Quelli che sono bravi a stabilire dei limiti ma poco coraggiosi “nell'offrire una mano a chi è fuori dai confini”. Insomma, nelle “caverne del nostro intimo” dormono “come leoni ruggenti” i più sordidi istinti aggressivi pronti a saltar fuori in ogni momento se non si conquista “la padronanza di sè”. Meglio riposarsi ogni tanto e non aver paura né vergogna delle proprie debolezze e fragilità: questo è il messaggio che può rinvigorire l'impegno di chiunque, credente o non credente, sia deciso a non mollare e a rifiutare di isolarsi in una sdegnosa torre d'avorio.
Questo libro dedicato allo strano valore della preghiera sarebbe la conferma che il cardinale sa parlare ai non credenti. Ma è il minimo. Molti preti, non sapendo parlare ai non credenti, non sanno parlare con nessuno. La stessa cosa capita ai medici che frequentano solo simposi, filosofi che pubblicano un titolo dopo l'altro per parlare tra di loro, letterati che vivono nelle biblioteche, insegnanti che ridono quando parlano con i contadini o con gli ambulanti. La parola rende uguali se usata per comunicare con i diversi, non per dividerli dagli altri e per coltivare reciproche identità in eterna competizione. L'idea di istituire il “cortile dei gentili” (uno spazio per il confronto fra credenti e non credenti) affidata al cardinale Ravasi (una tra le menti più poliedriche e brillanti del cattolicesimo europeo) è presentata come originale, coraggiosa e innovativa solo perchè da tempo immemorabile manca l'apertura che dovrebbe essere il prerequisito di ogni avvicinamento. E se manca il prerequisito, hai la misura del “basso stato e frale” in cui versa la conclamata urgenza del dialogo. Comunque, meglio di niente. Beati monoculi in terra caecorum. Certo, se con  Paolo di Tarso, Martini vuole che “senza Gesù Cristo l'umanità va verso la rovina”, il dialogo non può fare tanta strada: avendone già prestabilito gli esiti, il risultato sarà la convalida delle reciproche cecità.
Il merito di questi esercizi a Gerusalemme dell'ex presule milanese non sta nella sua capacità di catturare al dialogo i non credenti, ma nell'invito energico e fremente a usare “il dono della santa libertà” rivolto all'interno della Chiesa. Meglio tardi che mai. “L'anima di ogni creatura umana è chiamata alla libertà” e facendovi ricorso “qualche volta si è vincenti, ma per lo più si è perdenti”.
Invece, “l'orgoglio e la smania di riconoscimento sono spesso presenti in gruppi che, portando gente a ingrossare le file dei fedeli, ritengono di contare di più e di avere più potere”. Invece di dire la verità, si preferisce così dire ciò che piace al superiore per non compromettere la propria promozione al cardinalato. E “il conformismo a scapito della verità” è una malattia che ha colpito la Chiesa come tutte le altre organizzazioni della civiltà democratica. Come se ne possa uscire senza una profonda rivoluzione etica, sociale e politica non saprei dire. Sed fieri sentio et excrucior. Come ne possa uscire la Chiesa preservando le sue gerarchie, invece di sottoporle al vento rinnovatore di una salutare stagione democratica è un altro mistero ancora più grande che dovrebbe scongelare i credenti. Ma sono sin troppo tranquilli. Sacerdozio femminile, ordinazione degli sposati, matrimonio degli ordinati, contraccezione, democrazia elettiva dei pastori: dove diavolo se ne parla? Appunto, non se ne parla, perché così si tiene lontano il diavolo del pluralismo.
Martini forse vorrebbe i cattolici meno defilati, meno propensi a interpretare il comandamento dell'umiltà come un invito a subire, tacere, ubbidire. Non bisogna “pretendere di voler essere chissà che e neanche pensare o voler essere l'ultima ruota del carro”. Meglio, direbbe Dante, se “tutta tua vision fa manifesta e lascia pur grattar dov'è la rogna”. Meglio, dice Martini, l'umiltà dei nomadi che si percepiscono piccoli nell'Universo e non si dicono mai arrivati. “Vivere lo spazio e il tempo da nomadi è un puro atto di umiltà” che porta alla gioia, ad una “interiore zampillante serenità”.
Mario Dellacqua

C. M. MARTINI, Le ali della libertà, Piemme, 2011, p.107, euro 9.

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