sabato 25 febbraio 2012

Il libro di Giuseppe Nicola: quando il ricordo personale diventa memoria collettiva


Non sono uno storico di professione, non ho titoli accademici. Sono però un appassionato di cose locali, di quella che un po’ riduttivamente si usa definire microstoria. E come tale, come lettore cioè, ho molto apprezzato il libro di Giuseppe Nicola. Ciò che sorprende, in questo prezioso lavoro che scava nella memoria di None, è proprio il  senso del dettaglio, del particolare. Come se per un ragazzo di appena 15 anni o giù di lì, il ricordo di quei giorni lontani, in particolare, proprio i giorni di guerra, si fossero fissati per sempre come il piombo di una linotype (che da molto tempo non si usano più). E’ un atto di omaggio di Giuseppe Nicola alla sua comunità. Bisognerebbe che ce ne fossero molti, di Giuseppe Nicola. In tutti i nostri paesi. Per farne una rete di scambio per materiali e informazioni.

Quand’è che si avverte la necessità forte e insopprimibile di raccontare a beneficio di sé e degli altri ? Proprio quando la società cambia rapidamente.  Al contrario, in una società immobile, immutabile, non c’è alcun bisogno di raccontare ciò che ciascuno sa già. L’Italia di ieri è andata perduta irrimediabilmente. Non si tratta di mera nostalgia. Va ricordato che la vecchia società contadina portava con sé retaggi di superstizioni, paure, diffidenze, pregiudizi; sentimenti che proprio non ci appartengono, ma che in questa Italietta, tornata provinciale, riemergono purtroppo con tanta facilità.
Giuseppe Nicola ha avvertito questo senso del cambiamento e si è quindi posto il problema di descriverci minuziosamente la None che non c’è più. Ma vorrei dire che il nostro autore questo sentimento lo stava già provando proprio nei giorni tristi della tragedia incombente, poi della guerra proveniente dal cielo, con le sirene che laceravano il silenzio della notte. Avvenimenti che nessuno in paese aveva vissuto fino ad allora, perché None era vissuta avvolta nei suoi ritmi consueti. E’ la guerra che sconvolge ritmi abitudini tradizioni sentimenti affetti.
Possiamo pescare a piene mani e citare a volontà. Inutilmente si troveranno nostalgici ricordi per il tempo che fu: quel tempo era tempo di guerra, di cinghie tirate, di oscurità, di paura. Abbonda invece la tenerezza, che è un sentimento diverso, è l’affetto di Giuseppe Nicola per la sua gente, per i suoi insegnanti – riesce a ricordare perfino il nome di un maestro che resta in classe per poche settimane, il classico supplente. C’è da chiedersi quali capacità mnemoniche abbia sviluppato!
Parliamo allora del ricordo. Avviene, con questo libro, un’operazione che è ben nota a chi ha osservato i meccanismi della diaristica.  Il ricordo personale, del singolo è un insieme di sentimenti, di odori perché no ?, di profumi, di suoni, che ti girano continuamente in testa e che qualche volta sono anche un po’ ossessivi. Ebbene, il ricordo personale in qualche modo si trasforma, si allarga e si dilata: da semplice sensazione privata diventa memoria. Il ricordo è qualcosa di privato, che sta dentro il cuore; la memoria è collettiva, è aperta, entra nel patrimonio di chiunque viva all’interno della comunità, diventa di tutti. Proprio grazie a libri come questo. Forse non diventa ancora “storia” nel senso che gli accademici di professione sono soliti dare. Essi infatti preferiscono lavorare su testi scritti, su documenti certi, e rifuggono dalle testimonianze, dai ricordi personali. Io direi che ci vuole l’uno e l’altro. I due aspetti vanno benissimo insieme e uno completa l’altro. Penso sempre al caso così vistoso della memoria nei campi di concentramento. Che cosa sarebbe la storiografia senza le testimonianze di prima mano dei sopravvissuti? Come si studierebbero i campi di concentramento nazisti, senza leggere le opere di Primo Levi ? 
Confesso che l’episodio dell’8 marzo 1944, l’attacco al magazzino della Todt di None che vide cadere i partigiani Emilio Camosso, Angelo Cresti e Alfredo Serra è stata una delle primissime pagine che ho cercato sfogliando il manoscritto. Errando, mi aspettavo di trovare maggiori particolari. Ma subito dopo ho riflettuto. La narrazione non poteva essere diversa da come è stata scritta: è il racconto puro e semplice di un ragazzo di 15 anni, che vede per la prima volta corpi senza vita distesi a terra, lasciati dai tedeschi come ammonimento.
Marco Comello
intervento alla presentazione del 17 dicembre 2011 (testo non rivisto dall'autore)

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