sabato 21 gennaio 2012

NORCIA E IL MEGLIO DA MIRAFIORI


Aveva vent'anni e mi chiese che cosa poteva leggere per capirci qualcosa. Restai interdetto: Lettera a una professoressa? Simone Weil? Il manifesto comunista del 1848? Poi mi decisi a rifilargli Io garantitoche Liberato Norcia aveva pubblicato nel 1980 grazie ad Edizioni Lavoro. Non ricordo dove Bruno Manghi definì “sempre fondamentale” quell'autobiografia del leader operaio di  Mirafiori. Ora Norcia ha fatto il bis di testa sua. Ma stavolta, questo testardo dell'Irpinia partito bracciante e garzone di bottega dal Comune di Greci per diventare operaio europeo, ha voluto fare da solo. Potrò sbagliare, ma in questa seconda opera supera se stesso. Il suo eloquio è un fiume in piena che scorre senza le discipline della punteggiatura, neanche fosse una pagina levigata dalla mano di Saramago.
Un lungo monologo interiore che, dai tedeschi a Servire il popolo, naufraga senza briglie in un flusso di coscienza con i suoi anacoluti, i suoi andirivieni, le sue espressioni dialettali, le sue sconnessioni sintattiche tipiche del parlato trasferite nello scritto senza mediazioni.
In questo libro dal titolo chilometrico e improponibile, Norcia non si lascia confezionare e non confeziona. Si congeda dalla rabbia che tante volte è stata il suo pane quotidiano e si diverte in piena libertà percorrendo a ritroso il suo viaggio alla volta dell'utopia attraverso la concretezza di tanti lavori cominciati da ragazzo: venditore di tabacco e di ortaggi, barbiere, manovale edile, mietitore, raccoglitore di rifiuti, garzone di bottega, ancora barbiere, nuovamente manovale edile, imbianchino, aiutante in un negozio di alimentari, un altro giro nell'edilizia, manovale delle ferrovie in Germania, manovratore e addetto allo smistamento pacchi, cardatore e, finalmente, Mirafiori. Ultima tappa: bidello e ora anche pittore che parla tedesco e studia inglese.
Mirafiori finalmente, ma prima di tutto. Senza Mirafiori, forse Norcia non avrebbe potuto illuminare il significato di questo itinerario ubriacante, doloroso e suggestivo che, ad ogni tappa, gli offriva una nuova occasione di protagonismo e non di esibizionismo, di fraternità e di spirito unitario, non sempre spontaneo in quei tempi. Mirafiori fu il prisma che gli permise di vedere anche all'indietro dov'è campo e dov'è prato, ma rivelò anche che la vita non è tutto necessariamente prato o campo: ci sono mille sfaccettature da cogliere, impazienze da governare, attese da amministrare senza pretendere che capiti a noi la fortuna di dare il giro alla baracca. E, gratis, gli capita tra le mani la poesia, utile a nobilitare la memoria di un'infanzia trascorsa alle prese con gli animali, gli zingari e il grano, dove i covoni “sembravano tante piccole case con i tetti spioventi”. Senza Mirafiori, Norcia avrebbe scovato per noi la poesia tra le narici della sua asina? “L'odore della stalla non mi dava fastidio e l'odore dello sterco, coperto dal profumo del fieno, per me diventava persino gradevole (..) Mi avvicinavo a lei e le facevo una carezza sulla fronte, mentre lei alzava la testa fino a toccarmi la fronte con il muso e con le narici mi soffiava sopra. Io l'abbracciavo felice e lei rimaneva ferma, ascoltavamo entrambi l'amore che ci univa”. Già allora, nell'autentica babilonia delle fiere di paese, Norcia soffriva con i “nitriti inconsolabili” della giumenta “che non voleva seguire il padrone”, mentre il puledro “tentava di sottrarsi al nuovo proprietario per ricongiungersi alla madre”. Viene in mente il celebre bufalo di Rosa Luxemburg nelle cui lacrime la grande comunista vede le sue stesse lacrime, simbolo del dolore universale di tutti gli oppressi. E viene in mente il protagonista della malora fenogliana che, derubato delle mele in composta e dei pesci marinati per il fratello seminarista, sfoga la sua amarezza posando il suo braccio sulla giogaia di una bestia nella stalla, istintivo gesto di solidarietà che unisce le creature innocenti, le distingue e le aiuta a resistere contro la ferocia anonima della povertà.
Un libro da leggere, anche se non c'entra niente il titolo che Liberato ha voluto dare alla sua opera. Anche se possono non essere condivisi i suoi giudizi sulla stagione sindacale e politica che l'ha visto in prima fila nella più grande fabbrica d'Europa. Non saprei proprio che cosa domandare a Marchionne. Piuttosto, vorrei tanto sapere che cosa pensa ora l'amico a cui vent'anni fa ho suggerito di leggere “Io garantito”. Ora si è diplomato. Ha due bambini e un ristorante ben avviato.
Antonio e Claudio, i figli di Norcia, sono uno medico dentista e l'altro odontotecnico: “anche l'operaio vuole il figlio dottore”, come canta(va) il sogno di “Contessa”. Liberato ha festeggiato i suoi 50 anni di matrimonio nella chiesa di Greci, in provincia di Avellino, riunendo tutta la sua famiglia attorno alle sue radici di "arbëreshë": “è stata una gioia immensa”. C'era un'immagine migliore per concludere il suo libro?
Mario Dellacqua


D. L. NORCIA, Quello che ho chiesto trent'anni fa all'onorevole Berlinguer e quello che chiederei oggi all'ingegner Sergio Marchionne, Legma Edizioni, Torino 2011, euro 10.

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