mercoledì 18 maggio 2011

MEGLIO CANTARE

Quando ero bambino, era normale sentire levarsi dal Cappel Verde (non ho ancora digerito il cambio di nome imposto a questa storica osteria nonese) un coro di amici che, dopo acciughe o salame innaffiati da barbera, cantavano “Vola colomba”, “Era una notte che pioveva”, “Dove sei stato mio bell'alpino”, “Rosamunda”, “Ciao Ciao bambina”. 
Ora ci si ubriaca come e più di allora (secondo me, peggio), ma prova a trovarti dopo cena con amici, anche di sicuro affidamento. Difficile cominciarne una e portarla alla fine. O c'è uno che ridacchia, o ce n'è due che parlottano forte tra di loro, o ce n'è tre che ne intonano un'altra, o chi l'ha cominciata non sa bene tutte le parole e la abbandona a metà. Cantiamone una che sappiamo tutti, dice il saggio. Ma una così è un problema trovarla. Anche questo è segno che le nostre identità si sono sfilacciate, decomposte, irrimediabilmente separate per non dire polverizzate. Si è smarrita una colonna sonora comune.
Fanno eccezione i miei amici pinerolesi con cui la fraternità ormai più che trentennale è coltivata dalla comune passione per il repertorio della tradizione partigiana, anarchica e comunista. Ma anche con gli anni settanta sappiamo riempire certe serate ora troppo rare di note e di voci persino curate: da “E la pioggia che va” a “Una ragazza in due”, quando torno a casa non ho più niente da chiedere alla settimana successiva.
Al matrimonio di Gianpaolo e Marina, stavamo cantando sotto un pergolato in giardino: pur di ottenere il nostro allontanamento, il proprietario del ristorante dovette dire che stava per liberare i cani. E dei cortei operai alla Fiat ricordo con piacere non certi slogan truculenti ma i cori collettivi. Non si cantava solo “Contessa”, “O cara Moglie”, “I morti di Reggio Emilia”, ma anche “Calabrisella mia”, “Sciuri sciuri”, “Vitti 'na crozza”, “Romagna mia”, “Piemontesina bella”. 
Era l'Italia operaia che trovava anche nella musica popolare la via per riconoscersi e per confermare la propria fratellanza ribelle. Il coro del 25 aprile quest'anno mi ha entusiasmato. Tutto è stato curato, la parte vocale, quella strumentale, i testi. I testi per me sono commoventi e mi sento libero fra amici e compagni quando intercetto negli altri la mia stessa commozione.

Tutto questo per dire che oggi pomeriggio una famiglia di concittadini festeggiava nel bel cortile verde della casa Monsignor Vigo il compleanno della creatura sparando musica ad alto volume. Ma è l'alto volume a darmi fastidio? Dopotutto sono le tre del pomeriggio. Oggi è festa. Un po' di pazienza. C'è di peggio nella vita, per esempio Bossi o il nucleare. Non sopporti il proletariato che ascolta un solista eseguire “Il clarinetto” al karaoke? Guarda che anche noi alla festainrosso qualcuno rompiamo di sicuro. Giovanna mi esorta alla tolleranza. Ecco, adesso ho capito che cosa mi dà fastidio, tremendamente fastidio. Questi mettono musica al computer a tutto spiano, non perchè si divertano a disturbarmi. Il perchè è un altro: non solo non sanno suonare, ma non sanno nemmeno cantare in gruppo. Non hanno mai cantato, perchè se lo facessero si divertirebbero di più e tutta la famiglia si sentirebbe più unita e più allegra con gli amici. E' più comodo il clic di un mouse. Il surrogato arriva in abbondanza con il superfluo. Il necessario si eclissa malinconicamente e i primi a non accorgersi dell'occasione perduta sono proprio quelli che non hanno capito che è meglio cantare.
Mario Dellacqua

3 commenti:

  1. tra i miei più dolci ricordi d'infanzia ci sono tavolate lunghissime piene di gente festosa e io con la testa appoggiata al petto di mio padre ascolto la sua voce cantare in coro con le altre. ma le altre voci sono di sottofondo alla sua che mi arriva direttamente dentro. da lui a me.

    la prima volta che ho visto mio marito, il giorno del mio compleanno di esattamente 20 anni fa, stava in un crocchio di giovani a suonare la chitarra e cantare. non ho potuto che innamorarmene.

    che voglia di una bella cantata in compagnia!

    grazie mario

    r

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  2. Hai ragione Mario, anch'io da un po' faccio queste considerazioni, ma siamo ancora capaci a stare insieme?

    E la musica che ascoltano molti dei nostri ragazzi (ammesso che possa dirsi tale) non è fatta a tavolino per accompagnarli allo sballo?

    O forse siamo noi che stiamo invecchiando?

    Carla

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  3. Anch'io ricordo le lunghe tavolate e i cori, misti, ai quali il più delle volte partecipavo.Era un rito,ricordo ancora i suoni e i profumi, talvolta gli odori.. Ma succede ancora fortunatamente ! e dico: basta volerlo!voglio scegliere amici che amano stare insieme cantando e anche ballando, se si può.Voglio organizzare le feste dei miei ragazzi e ballare con loro (fino a che non mi "invitano" ad andarmene perchè imbarazzati per la madre impicciona e scatenata....)voglio cantare con loro, anche attraverso i loro interessanti mezzi elettronici, che permettono di fare a gara con le canzoni, è sempre un modo di stare insieme condividendo un gioco musicale; voglio trascorrere le vacanze con amici che amano una serata con una chitarra e tante voci.
    Non posso pensare che non siamo più capaci di stare insieme, cantando fra un'acciuga al verde e un bicchier di vino!
    Le tradizioni spariscono a causa della nostra pigrizia o scarso entusiasmo.
    Ma evidentemente ci sono anche altri modi di festeggiare e la musica ad alto volume sembra voler dire " che lo spettacolo abbia inizio" o ...."è qui la festa" evviva il/la festeggiato/a .Sempre che ciò sia permesso......

    Scrissi un articolo, tempo fa, su ciò che avrei voluto per i ragazzi di NOne, sull'entusiasmo e sulla musica.....magari da suonare in uno scantinato , va beh questa è un'altra storia...

    Nadia

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