venerdì 27 novembre 2009

Permissivismo o autorità? - L’OBIEZIONE DI JACOPO

Ha sentito dire a scuola che educare vuol dire condurre fuori da una condizione di inferiorità e di dipendenza verso il traguardo dell’autonomia. E di ritorno da una lezione sulla pedagogia di Rousseau e di Marx (?), Jacopo mi rivolge un’obiezione pungente.
“Hai un bel dire che l’educazione non si raggiunge attraverso la repressione, ma rispettando i tempi di crescita dell’umanità di ciascuno. Ma sei proprio sicuro che la tua generazione era tutta nel giusto quando lottava contro l’autorità, se il risultato di oggi è - come tu mi dici spesso - una gioventù di strafottenti fragili, di prepotenti pigri e di maleducati? Non era meglio più autorità e meno permissivismo?”
Penso che questa obiezione meriti una riflessione a più voci e la mia è quella di uno qualsiasi.
Scagliandosi contro l’autorità, la mia generazione (quella che era giovane a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta) rivendicava la libertà attraverso la trasgressione e la rottura delle gerarchie. Secondo me, aveva ragione (e continua ad aver ragione tuttora) chi si batte contro ogni autorità rivendicando l’uguaglianza sociale. Attraverso la pratica della libertà, noi criticavamo (e critichiamo) tutti i poteri politici ed economici convinti che una certa dose di ingiustizia sociale in fondo fosse una malattia naturale da sopportare per raggiungere l’efficienza aziendale, il progresso tecnologico, la stabilità economica e la produzione della ricchezza.
Avevamo torto (e hanno torto oggi) quelli che per libertà intendono il rifiuto delle regole, il guadagno senza fatica, la carriera senza professionalità, il diploma senza istruzione. Questo lo insegnano tutte le trasmissioni che presentano a portata di mano il successo indovinando il pacco o il provino giusto, non i superstiti della stagione sessantottina.
Siamo arrivati al paradosso: si considera normale ogni trasgressione delle regole in nome della libertà e, sempre in nome della libertà, si accettano pacificamente come normali e addirittura salutari le più odiose disuguaglianze sociali. Il risultato è che la libertà viene svuotata e l’uguaglianza viene calpestata, quando non derisa.
Secondo me, invece, è veramente nostro non ciò che ci viene regalato o che indoviniamo per caso o che agguantiamo con il raggiro, ma solo ciò che conquistiamo con l’impegno che può cambiare e migliorare la vita quotidiana di tutti i giorni.
Piccolo problema: non possiamo farcela da soli. A ben vedere, questo non è un altro paio di maniche: vale anche per le innovazioni che ci ostiniamo a non introdurre nella vita politica e sindacale. Naturalmente parlo di noi altri socialisti o comunisti e di tutta quella fauna variamente sinistrata. Agli altri, cioè a questo regime di destra appoggiato da metà degli italiani, va benissimo così.
Mario Dellacqua

1 commento:

  1. Non si è uomini o donne, ma lo si diventa



    L’istruzione obbligatoria è secolare, ma Ivan Illich avverte che forse bisognerebbe eliminarla.
    Io confesso di aver sovente pensato che potevo chiedere agli altri quello che non sapevo, fidandomi delle loro risposte. Allo stesso modo sognavo una cultura in pillole, spezzettata e comprensibile ai più.
    Nelle medie già arrancavo perché non stavo tanto sui libri a casa, alle superiori ben presto smisi di studiare. I due anni ad Agraria frequentai ma non studiai.
    Nel lavoro ben presto mi accorsi che la scuola non era finita, che bisognava formarsi ancora e recuperare. Così feci l’operaio comune.
    Ma anche lì sindacato e politica richiedevano studio, mi interessavano tante cose del mondo, ma non amavo impegnarmi sui libri a lungo. Le discussioni e le riunioni sono state la vera scuola, ma quanta noia e che sonno perso…
    Poi arrivarono le 150 ore e il diritto allo studio per gli operai, durò una stagione.
    In miniera scoprii il senso di inferiorità di molti, che non volevano comunicare le loro esperienze e la ricchezza delle loro lotte per scritto. Una conseguenza di questo complesso fu l’abbandono della possibilità di incidere sulla costruzione del progetto di museo della miniera, che venne avanti su binari tutt’altro che rispettosi della storia dei minatori.
    Oggi uso internet,da dilettante, e scopro la facilità del taglia e incolla, devo scrivere pochissimo di mio, Google è una grande enciclopedia facile da consultare.
    Ascolto con piacere le trasmissioni registrate di rai3, che sono un utile aiuto ai non vedenti.

    In conclusione l’ignoranza è una colpa, ma non ci sono medicine, bisogna guarire con le proprie forze e allora magari tutti i saperi diventano belli.

    Piero Baral

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